domenica 28 agosto 2011

Io sto con i calciatori

Prima di ogni altro discorso, debbo specificare che penso che il 90% degli interventi letti sui giornali e sentiti alla televisione siano stupidi, ignoranti e populistici.
Una stupidità che parte dal cosiddetto popolo, probabilmente in buona fede, per giungere fino ai giornalisti sicuramente in malafede, come solo un giornalista sa fare.

Ma adesso veniamo ai fatti. Quelli che molti non hanno compreso.
La protesta dei calciatori - che come sottolineato dai pochi in buona fede non si tratta di sciopero - non riguarda compensi od emolumenti vari, ma verte esclusivamente sull'Art. 7 del contratto collettivo ed in particolare sul comma 1 dello stesso che nel vecchio contratto stipulato nel 2005 tra A.I.C. Figc e la Lega Nazionale Professionisti recita cosi:

La Società fornisce al calciatore attrezzature idonee alla prepa-
razione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla
sua dignità professionale. In ogni caso il calciatore ha diritto
di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precam-
pionato con la prima squadra, salvo il disposto di cui infra sub
art. 11.

L'articolo 11 poi stabilisce quali sono le casistiche disciplinari per i quali un calciatore può essere punito e le possibili pene. Potete leggere il resto del contratto del 2005 qui.
In altre parole le società calcistiche vogliono la libertà di decidere se e quali giocatori mettere fuori rosa e far dunque allenare a parte e quali invece tenere nel giro della prima squadra. Al contrario i calciatori chiedono che venga sancito il diritto di tutti i calciatori di potersi allenare in modo serio con la prima squadra a meno di mancanze disciplinari. Per professionisti che fondano la propria carriera sulla condizione fisica e tecnica, oltreché sulla visibilità questo punto è fondamentale. 
Di contro nel mondo calcistico dove ormai le rose sono anche oltre i 30 giocatori - vedi il caso Lazio - con i conseguenti costi in termini di stipendio per la società, la possibilità di mettere fuori rosa un giocatore è una forma di pressione psicologica nei confronti del giocatore per indurlo ad accettare qualunque altra proposta anche economicamente sconveniente. Il calciatore non è più un lavoratore - strapagato ma pur sempre un lavoratore - ma un oggetto nelle mani delle società, concetto contro il quale si era già pronunciata la Comunità Europea con la sentenza Bosman del '95.
Se a questo aggiungiamo che nessuno ha obbligato le società a stipulare negli anni contratti faraonici con giocatori poi rivelatisi inutili, si giunge alla consapevolezza come la cancellazione dell'Art. 7 altro non è che la legalizzazione del mobbing da parte delle società calcistiche nei confronti dei propri dipendenti.

Si parla quindi di diritti dei lavoratori e non di aumenti di stipendi. Se oggi noi accettiamo che un lavoratore, soltanto perché ultrapagato, può vedersi negare i propri diritti, apriamo il campo a futuri attacchi nei confronti del resto dei lavoratori ed in primis a quelli che oggi si lamentano per questo sciopero dei calciatori.
Se non vogliamo ragionare per ideologie e per diritti, possiamo ragionare in una forma egoistica, pensando che questo primo attacco se andasse a buon fine potrebbe in futuro rivolgersi contro tutti noi, anche contro coloro, che per ignoranza o stupidità, oggi si lamentano di questo sciopero dei calciatori come se gli portasse chissà quale disagio.

Altro discorso è se si volesse criticare i maxi stipendi dei giocatori di Serie A. Ma anche in questo caso si cade come al solito nella demagogia.
A ben analizzare la situazione, gli stipendi dei calciatori non sono fuori dal sistema, non sono anti morali, anzi, tutto il contrario, essi sono forse la miglior immagine del sistema in cui si trova immersa la società occidentale.
In una società di libero mercato se l'offerta è inferiore alla domanda l'oggetto vede accrescere il proprio valore. E' proprio questo il caso dei calciatori.
La bravura nel giocare a calcio è ormai diventata una merce, e per di più una merce rara e quindi di valore. A ciò uniamo che la domanda è invece molto anche e sopratutto per tutti gli interessi economici che il popolo contribuisce a creare attorno al mondo del pallone. E' paradossale che gli stessi che oggi si lamentano degli ultra stipendi dei calciatori siano poi i primi a richiedere a gran voce gli stessi alle società e quindi ad aumentare ulteriormente la domanda. E' la semplice legge di mercato che domina la società occidentale.
E' lo stesso discorso per il quale un iphone sul mercato viene venduto a 700 euro quando alla Apple costa meno di un decimo del suo valore di mercato. Eppure nessuno critica la Apple per queste sue strategie di mercato. E come la Apple possiamo portare l'esempio di altre migliaia di aziende.
Non possiamo quindi criticare solo una parte del sistema senza criticare tutto il sistema. Altrimenti cadiamo nel populismo più becero. Non possiamo guardare il dito anziché la luna, criticare le storture e non il sistema del quale le storture sono semplicemente organiche.
Una volta sono i politici, un'altra volta i dipendenti pubblici e un'altra ancora gli operai e cosi via.
Come al solito si attacca di volta in volta una determinata categoria, anche con false notizie, seguendo lo stomaco del popolo e al contempo distogliendone l'attenzione dai reali problemi della società, senza accorgersi che quello che non va è proprio l'impostazione di fondo della società stessa. Ma come detto se da parte di alcuni è un attacco fatto in buonafede - gli ignoranti - dall'altra parte sono attacchi strumentali fatti ad hoc da una parte della società che desidera solamente distogliere l'attenzione trovando un capro espiatorio per cambiare tutto per non cambiare nulla.

E cosi risuona ancora attuale la poesia di denuncia sociale del pastore Martin Niemöller scritta durante l'ascesa al potere della dittatura nazista in Germania


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

1 commento:

  1. Aggiungo che non si tratta di vero e proprio sciopero, come l'opinione pubblica e i giornali vogliono far passare, in quanto nessun calciatore ha rinunciato ad un giorno di lavoro cioè di allenamento e quindi ad parte del loro stipendio, ma è stata una protesta contro il comportamento di certi presidenti che pensano di essere padri e padroni.

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