domenica 28 agosto 2011

Io sto con i calciatori

Prima di ogni altro discorso, debbo specificare che penso che il 90% degli interventi letti sui giornali e sentiti alla televisione siano stupidi, ignoranti e populistici.
Una stupidità che parte dal cosiddetto popolo, probabilmente in buona fede, per giungere fino ai giornalisti sicuramente in malafede, come solo un giornalista sa fare.

Ma adesso veniamo ai fatti. Quelli che molti non hanno compreso.
La protesta dei calciatori - che come sottolineato dai pochi in buona fede non si tratta di sciopero - non riguarda compensi od emolumenti vari, ma verte esclusivamente sull'Art. 7 del contratto collettivo ed in particolare sul comma 1 dello stesso che nel vecchio contratto stipulato nel 2005 tra A.I.C. Figc e la Lega Nazionale Professionisti recita cosi:

La Società fornisce al calciatore attrezzature idonee alla prepa-
razione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla
sua dignità professionale. In ogni caso il calciatore ha diritto
di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precam-
pionato con la prima squadra, salvo il disposto di cui infra sub
art. 11.

L'articolo 11 poi stabilisce quali sono le casistiche disciplinari per i quali un calciatore può essere punito e le possibili pene. Potete leggere il resto del contratto del 2005 qui.
In altre parole le società calcistiche vogliono la libertà di decidere se e quali giocatori mettere fuori rosa e far dunque allenare a parte e quali invece tenere nel giro della prima squadra. Al contrario i calciatori chiedono che venga sancito il diritto di tutti i calciatori di potersi allenare in modo serio con la prima squadra a meno di mancanze disciplinari. Per professionisti che fondano la propria carriera sulla condizione fisica e tecnica, oltreché sulla visibilità questo punto è fondamentale. 
Di contro nel mondo calcistico dove ormai le rose sono anche oltre i 30 giocatori - vedi il caso Lazio - con i conseguenti costi in termini di stipendio per la società, la possibilità di mettere fuori rosa un giocatore è una forma di pressione psicologica nei confronti del giocatore per indurlo ad accettare qualunque altra proposta anche economicamente sconveniente. Il calciatore non è più un lavoratore - strapagato ma pur sempre un lavoratore - ma un oggetto nelle mani delle società, concetto contro il quale si era già pronunciata la Comunità Europea con la sentenza Bosman del '95.
Se a questo aggiungiamo che nessuno ha obbligato le società a stipulare negli anni contratti faraonici con giocatori poi rivelatisi inutili, si giunge alla consapevolezza come la cancellazione dell'Art. 7 altro non è che la legalizzazione del mobbing da parte delle società calcistiche nei confronti dei propri dipendenti.

Si parla quindi di diritti dei lavoratori e non di aumenti di stipendi. Se oggi noi accettiamo che un lavoratore, soltanto perché ultrapagato, può vedersi negare i propri diritti, apriamo il campo a futuri attacchi nei confronti del resto dei lavoratori ed in primis a quelli che oggi si lamentano per questo sciopero dei calciatori.
Se non vogliamo ragionare per ideologie e per diritti, possiamo ragionare in una forma egoistica, pensando che questo primo attacco se andasse a buon fine potrebbe in futuro rivolgersi contro tutti noi, anche contro coloro, che per ignoranza o stupidità, oggi si lamentano di questo sciopero dei calciatori come se gli portasse chissà quale disagio.

Altro discorso è se si volesse criticare i maxi stipendi dei giocatori di Serie A. Ma anche in questo caso si cade come al solito nella demagogia.
A ben analizzare la situazione, gli stipendi dei calciatori non sono fuori dal sistema, non sono anti morali, anzi, tutto il contrario, essi sono forse la miglior immagine del sistema in cui si trova immersa la società occidentale.
In una società di libero mercato se l'offerta è inferiore alla domanda l'oggetto vede accrescere il proprio valore. E' proprio questo il caso dei calciatori.
La bravura nel giocare a calcio è ormai diventata una merce, e per di più una merce rara e quindi di valore. A ciò uniamo che la domanda è invece molto anche e sopratutto per tutti gli interessi economici che il popolo contribuisce a creare attorno al mondo del pallone. E' paradossale che gli stessi che oggi si lamentano degli ultra stipendi dei calciatori siano poi i primi a richiedere a gran voce gli stessi alle società e quindi ad aumentare ulteriormente la domanda. E' la semplice legge di mercato che domina la società occidentale.
E' lo stesso discorso per il quale un iphone sul mercato viene venduto a 700 euro quando alla Apple costa meno di un decimo del suo valore di mercato. Eppure nessuno critica la Apple per queste sue strategie di mercato. E come la Apple possiamo portare l'esempio di altre migliaia di aziende.
Non possiamo quindi criticare solo una parte del sistema senza criticare tutto il sistema. Altrimenti cadiamo nel populismo più becero. Non possiamo guardare il dito anziché la luna, criticare le storture e non il sistema del quale le storture sono semplicemente organiche.
Una volta sono i politici, un'altra volta i dipendenti pubblici e un'altra ancora gli operai e cosi via.
Come al solito si attacca di volta in volta una determinata categoria, anche con false notizie, seguendo lo stomaco del popolo e al contempo distogliendone l'attenzione dai reali problemi della società, senza accorgersi che quello che non va è proprio l'impostazione di fondo della società stessa. Ma come detto se da parte di alcuni è un attacco fatto in buonafede - gli ignoranti - dall'altra parte sono attacchi strumentali fatti ad hoc da una parte della società che desidera solamente distogliere l'attenzione trovando un capro espiatorio per cambiare tutto per non cambiare nulla.

E cosi risuona ancora attuale la poesia di denuncia sociale del pastore Martin Niemöller scritta durante l'ascesa al potere della dittatura nazista in Germania


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

sabato 27 agosto 2011

Meglio la qualità della quantità

Uno degli obbiettivi, neanche tanto nascosti, dell'attuale amministrazione è quello di portare la città di Brescia a quota 220mila abitanti partendo dagli attuali 195mila. Un aumento questo che in termini assoluti comporta l'inserimento nel tessuto comunale di oltre 25mila nuovi abitanti che si trasforma in termini percentuali in un aumento di 13 punti.
Un aumento questo che potrebbe essere ottenuto esclusivamente con l'attrazione di cittadini della provincia verso il capoluogo, e non attraverso una crescita di natalità, che se oggi avviene è per merito dei residenti extracomunitari.

E in questo senso si muove il Pgt che dovrà essere approvato a Settembre. Nel documento che dovrà guidare il futuro sviluppo urbanistico della città, si prevede uno stanziamento complessivo per la residenzialità di circa 1,3 milioni di metri quadrati.
Una nuova residenzialità che si aggiungerà alle oltre 12 mila unità immobiliari terminate o in fase di terminazione ma non allocate oggi presenti sul territorio comunale. Un patrimonio invenduto che ha spinto il presidente del Collegio dei costruttori bresciani Giuliano Campana a chiedere uno stop alla concessioni di aree edificabili. Brescia, anche se nel suo piccolo, rischia di trovarsi d'innanzi ad un default abitativo che a lungo andare rischia di portare ad una forte svalutazione dell'immobile, oltreché al rischio fallimento di un intero settore produttivo.

Per questo motivo questo consistente patrimonio immobiliare - privato, ma anche pubblico - in un periodo di crisi come quello attuale non può che far prestare attenzione ai cittadini e all'amministrazione.

La prima domanda che a mio avviso sorge spontanea è: "ma con tutti questi immobili invenduti, che necessità c'è di altri 1,3 milioni di metri quadri di costruzioni?". Una domanda legittima che trova una sola risposta, e non è certamente quella data dalla giunta Paroli. La crescita di popolazione potrebbe trovare già oggi una risposta nella moltitudine di locazione sfitte che si trovano oggi. 
La ragione per queste concessioni è da ritrovare negli oneri di urbanizzazione. Infatti ogni qual volta un privato costruisce ha degli oneri da versare al comune, e in un periodo di crisi e di tagli agli enti locali, gli oneri di urbanizzazione sono gli unici introiti rilevanti per un'amministrazione comunale. Ed ecco spiegato il motivo di questa imponente concessione mentre abbiamo migliaia di locazioni, residenziali e commerciali vuote, sia nel centro storico sia in periferia. Il problema di queste locazioni è che oggi si collocano fuori mercato, essendo in un certo senso sopravvalutate rispetto alla disponibilità finanziaria attuale della società. In quest'ottica si deve osservare sia lo spopolamento commerciale del centro cittadino dove gli affitti delle locazioni commerciali sono ormai diventati insostenibili, sia l'emigrazione dei bresciani dal capoluogo verso i comuni dell'hinterland.

Ma data una risposta alla prima domanda, viene da chiedersi quale sia la necessità di una cosi forte crescita della residenzialità nel comune. La risposta potrebbe essere un maggiore potere politico ed economico della città a livello nazionale e al contempo confermare la sua posizione come seconda città lombarda. Tralasciando le motivazioni che sono certamente più politiche che economiche o sociali, quello che dovrebbe preoccupare i cittadini è la risposta che i servizi darebbero a tale crescita della popolazione.
I servizi di una città di 195mila abitanti non sono gli stessi che richiederebbe una città di 220mila abitanti. Solo per fare un esempio di primo impatto sulla vita dei cittadini, possiamo prendere il caso della viabilità.
Non è indubbio che già oggi la città di Brescia soffra una grave carenza viaria non tanto per le sue strade, ma quando per la pessima abitudine bresciana di usare l'auto per ogni minimo spostamento. Cosi le lunghe code mattutine sono ormai delle compagne giornaliere per chi si reca a lavoro o a scuola, e un aumento del 13% della popolazione potrebbe significare molto probabilmente anche un aumento del 8-9% di automobili. Un aumento insostenibile sia per la viabilità sia per lo spazio necessario per il posteggio di questo gran numero di nuove autovetture.
Lo stesso discorso è praticabile per un'altra serie di servizi.

Appare quindi chiaro come un aumento della popolazione ad oggi non necessiti di nuove location abitative che comporterà un forte consumo del territorio in una zona che si trova già ai primi posti in Italia per edificabilità. Al contempo traspare anche come la città di Brescia, a meno di un radicale cambiamento della mentalità collettiva, non sia in grado di reggere a livello di servizi un aumento di quell'entità della popolazione urbana.

venerdì 26 agosto 2011

Sinistra l'è morta

«La sinistra in Italia non esiste più. È come l'Araba Fenice, c'è chi dice che ci sia ma dove sia nessuno lo sa. E poi, forse, proprio come l'Araba Fenice potrebbe risorgere dalle proprie cenere, ma è necessaria una destrutturazione dei corpi inerti e la resurrezione di una nuova sinistra europea in cui possano starci tutti coloro che non apprezzano questa società. Ma per fare questo ci vuole una 'pars destruens', bisogna bombardare il quartier generale» Fausto Bertinotti [L'Unità]

Fausto Bertinotti - ex leader di Rifondazione Comunista ed ex Presidente della Camera dei deputati - con queste parole alla rassegna Cortina InConTra da l'ufficialità, e celebra il requiem in ritardo, a quelli che molti ormai da tempo andavano predicando e sentendo. Sinistrà l'è morta!

Ma il compagno Bertinotti dovrebbe avere la compiacenza di non ergersi oggi a predicatore della sinistra italiana. Dovrebbe invece fare un proprio meaculpa, perché se oggi la sinistra italiana non esiste più è colpa della generazione di politici di cui fa parte.
Da Veltroni a Bertinotti, passando per Fassino e molti altri. Tutti hanno partecipato allo sfaldamento della sinistra italiana, sia chi continuava sulla strada della falce e martello, sia chi nella sua visione revisionista ha tagliato ogni legame con il passato, rinnegando la propria storia politica per appropriarsi di una storia non sua, solo per riabilitarsi agli occhi di chi sanno loro.
La classe politica italiana di sinistra si è ripiegata su se stessa, chi rimanendo ancora ad un passato ormai andato e chi invece con il passato a rotto.
Ma nessuno ha guardato al futuro. Al possibile ricollocamento della sinistra italiana in una più ampia famiglia della sinistra europea. Legata contemporaneamente ai valori riformisti e del socialismo europeo. Debbo riconoscere che l'unico che ebbe il coraggio di fare un tentativo in questo senso fu Achille Occhetto, ma probabilmente gli mancò la capacità politica o il carisma per effettuare un passaggio politico cosi difficile.

Questo rimanere immobili in una società in vorticoso cambiamento, con stravolgimenti sociali e storici in atto per tutto l'ultimo decennio dello scorso secolo ha portato inevitabilmente a scelte scellerate, incapacità di analisi e incomprensione dei cambiamenti della società.
L'affossamento della sinistra italiana era una conseguenza inevitabile, della quale andavano solo stabilite le tempistiche. 
Alla fine sono state definite anche quelle. Ottavo anno del ventunesimo secolo. La sinistra italiana cessa di esistere, e non venitemi a dire che SeL rappresenta la sinistra in Italia.

Ci ha messo tre anni il compagno Bertinotti per accorgersi di ciò. Meglio tardi che mai.

martedì 23 agosto 2011

Il nepotismo nell'università italiana

Ieri mi è capitato di leggere, sul blog di Laura Castelletti, un post in cui si la politica bresciana rimandava ad un articolo comparso di linkiesta.it. L'articolo illustra una ricerca svolta da Stefano Allesina ricercatore italiano presso l'Università di Chicago, uno dei tanti cervelli in fuga dall'Italia.
Allesina ha sviluppato un algoritmo che permette di verificare la presenza e la frequenza della ripetizione dei cognomi all'interno del sistema universitario nazionale e poi più approfonditamente all'interno di ogni singolo Ateneo.

Per effettuare tale ricerca lo studioso si è avvalso del database del Cineca che contiene i nominativi di oltre 61.000 docenti afferenti ad 84 sedi universitarie italiane. Non è mia intenzione entrare nel merito dei dati prodotti per due motivi: il primo è che è risaputo che in Italia è presente il nepotismo, il secondo è perché non reputo la ricerca attendibile, e spiegherò perché. Per chi volesse leggere i risultati della ricerca li può trovare qui.

Partiamo dalla definizione di nepotismo secondo l'Hoepli: Favoritismo verso parenti o amici da parte di chi ha un'autorità, un potere.

Risulta cosi chiaro come il nepotismo non è semplicemente far assumere il figlio o il nipote, ma è una pratica molto più complessa che va oltre le parentele.
Ma per il momento consideriamo come nepotismo solamente le raccomandazioni all'interno di vincoli parentali. Una ricerca che si limiti a misurare la frequenza di dati cognomi, non terrebbe conto di parentele disgiunte dal cognome, come per esempio le coppie marito e moglie, zio e nipote, madre e figlio giusto per fare qualche semplice esempio. Inoltre non si tiene conto come all'interno di stessi Atenei o del sistema nazionale possano essere presenti docenti con lo stesso cognome pur non essendo parenti. La facoltà di Ingegneria è un esempio in questo senso: sono infatti presenti due docenti con lo stesso cognome - Faglia - che non hanno alcuna parentela tra loro. Infine si da per scontato che il figlio di un docente sia necessariamente raccomandato e non possa invece possedere le capacità per esercitare tale professione. In questo senso appare chiaro come siano presenti diversi errori di valutazione all'interno della ricerca.

Di contro come già detto non si tiene conto del nepotismo che va oltre ai legami di parentela. In questo caso abbiamo una forte sottostima del fenomeno del nepotismo.
Infatti è sicuramente quest'ultimo tipo di nepotismo quello più diffuso non solo nell'università italiana. In America per esempio il nepotismo non solo è praticato, ma è anche l'unico modello per l'assunzione. In tal senso prende il nome di cooptazione.
Il docente, e più in generale la classe docente, si sente in diritto e in dovere di scegliersi i propri collaboratori. Collaboratori che solo in pochi casi sono parenti dei docenti, ma che nella maggior parte dei casi sono anche persone di valore che hanno lavorato con la docenza per un periodo di diversi anni.

Questa mentalità in Italia porta all'istituzione di concorsi pubblici truccati. Esistono vari modi per fare ciò è la sovravalutazione del candidato che si desidera assumere è forse la metodologia meno usata. Infatti solitamente i concorsi - che vengono banditi dagli stessi dipartimenti che devono assumere - sono solitamente calibrati sulla figura del candidato scelto in precedenza o nel caso di un profilo più largo si effettuano forme di mobbing nei confronti di altri possibili candidati. Solo in ultima istanza avviene la sopravvalutazione del candidato prescelto nei confronti di altri candidati più meritevoli.

Questo è un sistema cosi radicato nella mentalità accademica, che è ormai accettato quasi unanimemente dagli attori  della scena accademica.
Tale accettazione porta a non rare situazione dove docenti di un Ateneo influenzino le assunzioni e i concorsi di Atenei terzi, dove sono presenti docenti a loro legati. E' il cosiddetto rapporto allievo-maestro. Un rapporto cosi saldo che è in grado di influenzare scelte extra-ateneo, creando cosi fitti legami che intessono tutti il sistema nazionale.
Per questi motivi il metodo della cooptazione, che come tutte le metodologie ha degli aspetti positivi e degli aspetti negativi, viene ormai da tempo richiesto a gran voce da una gran moltitudine di soggetti, che chiedono che venga istituzionalizzata una metodologia ormai in uso.

E' proprio l'ufficialità che fa l'efficienza del procedimento. Negli USA dove questa è la pratica base per l'assunzione di nuovi docenti, coloro che concorrono alla scelta del candidato si assumono nel contempo una responsabilità dinnanzi alla comunità scientifica e dinnanzi ai finanziatori sulla validità del neoassunto. Le successive mancanze del candidato si ripercuoteranno in senso negativo anche sulla fama dei docenti tutor.
Al contrario in Italia dove ciò avviene dietro lo scudo di concorsi pubblici truccati la docenza si svincola da queste responsabilità, non pagando per eventuali errori di valutazione del candidato. Questa mancanza di responsabilità permette di assumere persone che non soddisfano i requisiti minimi per assumere determinati incarichi.

Proprio per questi motivi la ricerca svolta a mio modo di vedere non possiede una valenza statistica. Non tiene conto di molti fattori del panorama italiano. E' più o meno lo stesso errore fatto dalla ministra Gelmini con la modifica del sistema di assunzione della docenza con l'introduzione dell'abilitazione nazionale.
Tale assunzione si rende inutile proprio per i legami a livello nazionale prima espressi.

A mio parere il ministro avrebbe dovuto aver più coraggio e tentare di istituire ufficialmente la cooptazione anche in Italia. A ciò avrebbe dovuto affiancare una seria opera di valutazione dell'operato dei docenti con conseguenti sanzioni.
Ammettendo che non è il metodo più democratico possibile e riconoscendogli diverse problematiche, penso che solo attraverso l'istituzione della cooptazione e la contemporanea presa di responsabilità del mondo accademico, si può sperare di modificare un sistema ormai anchilosato

lunedì 22 agosto 2011

Il 20 Agosto termina la primavera a Praga e inizia a Roma

"La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni." Alexander Dubcek

Il 1968 fu un anno strano e difficile in tutto il mondo, ma in più che altrove, fu un anno strano nell'allora Cecoslovacchia. Quell'anno la primavera a Praga non inizio come dappertutto il 21 Marzo, ma il 5 di Gennaio quando Alexander Dubcek venne eletto segretario del Partito Comunista Cecoslovacco (PCC). Sarebbe terminata appena 8 mesi dopo il 20 di Agosto quando i carri sovietici, appoggiati da quelli di altri 5 paesi del Patto di Varsavia, entrarono nel paese che per primo cerco di andare oltre la fase sovietica attraverso un processo pacifico e all'interno, e nella continuità, di un modello socialista. Qualcuno potrebbe accostarla alla rivolta ungherese del 1956, ma se le rivendicazioni furono probabilmente simili, profondamente diverse furono le cause, le modalità con cui si svilupparono i fatti e sopratutto l'analisi che diedero avvio in tutto il mondo.


Il numero de L'Unità del 21 Agosto 1968
Per quanto riguarda l'Italia se le vicende del 1956 diedero delle picconate, quelle del 1968 fecero cadere il muro.
Il PCI era ormai pronto per una via italiana al socialismo e a mettere in discussione, comunque sempre con toni moderati, il ruolo guida del PCUS all'interno del movimento internazionale.
Fu una riflessione fondamentale che fu alla base delle trattative successive per portare il PCI nel governo durante la fine degli anni '70. Non fu un caso se alla base di entrambe le riflessioni si poneva una delle figure più importanti della storia comunista italiana: Enrico Berlinguer.

Il numero de L'unità del 22 Agosto del 1968
Nella colonna di sinistra si può
leggere il duro
attacco dell'ufficio politico del PCI nei
confronti dell'Unione Sovietica







Non essendosi formato alla scuola del Comintern, a differenza dei dirigenti della generazione precedente, ed avendo nel contempo maturato grande esperienza come dirigente di organismi giovanili internazionali, Berlinguer ebbe la forza e la capacità di avviare un'analisi critica dei cambiamenti in atto.
E cosi mentre la primavera a Praga terminava nel sangue e nelle successive fiamme di Jan Palach, in Italia si apriva una fase nuova, una primavera per il socialismo in salsa italiana.


giovedì 18 agosto 2011

Che sia questo che crea il disagio sociale a Londra?

In un precedente post parlavo degli scontri di Londra, e più in generale dell'Inghilterra, avvenuti qualche settimana fa.
Ho parlato di disagio sociale e della responsabilità che il new Labour di Tony Blair, prima e di Gordon Brown dopo ha avuto sulla crisi sociali in atto.

In questi giorni leggendo un libro sulla crisi di Vladimiro Giacché dal titolo "Il capitalismo e la crisi", mi è capito di imbattermi in alcuni dati quantomeno significativi. Ricopio quindi di seguito la pagina del libro, tralasciando l'analisi dell'autore e limitandomi ai dati spuri.

"Un buon punto di osservazione per misurare la compressione dei salari medi negli ultimi decenni è rappresentato dalla crescita della diseguaglianza sociale. Facciamo parlare le cifre, a cominciare da quelle che riguardano gli Stati Uniti. Tra il 1973 e il 2002 i redditi del 90% più povero della popolazione statunitense sono scesi del 9% in termini reali. Quelli dell'1% più ricco sono cresciuti del 101%, e quelli dello 0,1% più ricco addirittura del 227%. Risultato: nel 2005 il reddito dopo le tasse del quinto più povero della popolazione era di 15.300 dollari annui, quello del quinto mediano di 50.200 dollari, mentre quello dell'1% più ricco era superiore al milione di dollari. Negli anni tra il 1993 e il 2006 all'1% più ricco della popolazione americana è andata quasi la metà della crescita del reddito complessiva (proporzione che cresce a tre quarti se si considerano soltanto gli anni tra il 2002 e il 2006). Nel 2005, secondo i dati dell'US Census Bureau, l'indice della disuguaglianza tra i redditi ha raggiunto il massimo storico. Nel 2006 la quota di reddito che andava al 10% più ricco delle famiglie americane era il 49,6% del totale, la quota più elevata dal 1917 in poi (prima della grande crisi del '29 ndr). Nel 2007 l'1% più ricco della popolazione statunitense si appropriava di circa il 16% del reddito nazionale (nel 1980 tale percentuale era «appena» dell'8%)(40). La stessa divaricazione tra i redditi si registra in Gran Bretagna, dove la tendenza si è accentuata dopo l'ascesa al potere dei laburisti di Tony Blair nel 1997: anche qui, secondo i dati governativi pubblicati nel maggio 2009, la forbice della disuguaglianza è la più alta di sempre(41). [...] Infine, secondo una ricerca dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, i salari medi mondiali nel 1995-2007 sono rimasti al di sotto della crescita del Pil. Nella maggior parte dei Paesi la quota del reddito andata ai salari è scesa ulteriormente nel 2001-2007 rispetto al periodo 1995-2000.

(41) Sulla situazione britannica vedi M. Kelly, Povera middle class, «il manifesto», 15 giugno 2008, e M. Engel, a Faustian pact that backfired spectacularly, «Financial Times», 26 maggio 2009 


A quanto detto bisogna inoltre aggiungere nel caso specifico Britannico - il caso statunitense è un caso particolare di cui non desidero discutere adesso - che negli ultimi 30 anni il welfare state è andato via via scomparendo lasciando il posto a forme di assistenza private sul modello statunitense. 
Penso che questi dati siano emblematici e possano spiegare perfettamente la crisi sociale in atto di questi tempi a Londra e nell'intera Inghilterra. 

martedì 16 agosto 2011

Pgt, Cubo bianco e Campus studentesco

Leggendo il Pgt del comune di Brescia (lo trovate qui) salta subito all'occhio la presenza del famoso, quanto discusso, cubo bianco.
Dell'inutilità del cubo bianco ne ho parlato già diffusamente in un altro post ripreso da altri blog locali tra cui bresciapoint.it, ma questa volta vorrei legare le considerazioni sul cubo bianco a quelle sul Campus - anche di questo ho già trattato qui e qui.

Se in precedenza li ho trattati come due entità separate, e quindi analizzati nei loro aspetti peculiari senza metterli a confronto, ad oggi, dopo la presentazione del Pgt, è necessaria una trattazione dell'argomento che distolga l'attenzione dal singolo e la concentri invece su un confronto tra le due strutture che sotto alcuni aspetti sono ad oggi complementari ed esclusive tra loro. E' quindi necessaria una analisi complessiva del piano Brescia città universitaria.
Tale analisi va forzatamente legata al Pgt, perché quest'ultimo dovrebbe dettare le linee guida per uno sviluppo sostenibile e sopratutto organizzato della città del futuro.
Una cattiva organizzazione dello sviluppo, e degli obbiettivi alla base e conseguenti a questo sviluppo, può portare in futuro ad una città fortemente sbilanciata nei servizi e negli accessi.
E' quindi necessario che oggi venga fatta una progettazione urbanistica e di obbiettivi che consenta la crescita della città attraverso linee guida semplici e chiare.
Nel caso universitario ogni futura elaborazione deve partire dalla considerazione di come ad oggi siano presenti in prevalenza tre poli principali: quello a nord dell'ospedale dove sorgono Medicina e Ingegneria della Statale e si trasferiranno alcune facoltà della Cattolica; quello attorno a via San Faustino di Economia e Giurisprudenza della Statale; e quello di via Trieste della Cattolica.
Durante la progettazione del Pgt non si è tenuto conto di questa suddivisione, e in particolare della locazione di San Faustino.
E' su quest'area che si svilupperà la riflessione.

Nelle intenzioni dell'amministrazione comunale il Campus Universitario non nasce come un semplice dormitorio - a meno di cambi di progetto in corsa - ma prevede al suo interno, oltre alle residenze, una serie di servizi e di aule dedicate alle attività studentesche. In particolare sono previste diverse aule studio che nell'idea del committente (il comune ndr) dovrebbero soddisfare la domanda di posti di studio da parte degli studenti alleggerendo cosi il carico sull'unica aula studio comunale attualmente in funzione: la sala di lettura Cavallerizza di via Cairoli.
Oltre a queste future aule, a pochi metri di distanza l'Ateneo cittadino sta da tempo pensando a delle soluzioni per estendere l'orario di apertura della biblioteca interfacoltà di vicolo dell'Anguilla nelle ore serali.

Ci sarà quindi una rivoluzione nella mobilità studentesca e nelle zone di attrazione studentesca. Per maggiore chiarezza di seguito una cartina della zona con indicati i vari, presenti e futuri, edifici.
In rosso il futuro Campus, in blu le attuali strutture didattiche e amministrative della Statale in giallo la biblioteca interfacoltà di vicolo dell'Anguilla. Il punto verde indica dove dovrà sorgere il Cubo Bianco.



Se prima il centro del polo universitario si concentrava attorno alla zona nord di San Faustino, con i nuovi interventi strutturali questa zona di interesse si allargherà verso ovest coinvolgendo cosi anche via Porta Pile e via Fratelli Bandiera fino all'altezza con via delle Grazie. Con lo spostamento dell'asse di attrazione, rimarrà sempre più isolata la parte sud di via San Faustino, in fondo alla quale si apre Largo Formentone, location dove dovrà vedere la luce il Cubo Bianco promosso dall'attuale amministrazione.
Oltre ai semplici flussi tra centri di didattica e centri di studio, bisogna a questo punto considerare anche i flussi in entrata e in uscita dalla zona universitaria.
Se è necessario puntare maggiormente sulla mobilità sostenibile, e in questo sarà di grande aiuto la fermata del metro di Piazzale Cesare Battisti, è anche vero che Largo Formentone è difficilmente raggiungibile con mezzi privati. Al contrario del futuro Campus che trovandosi presso il ring dispone di una maggior presenza di parcheggi. Inoltre con una buona e intelligente pianificazione e interconnessione tra le varie modalità di spostamento, risulterà finalmente utile anche il parcheggio Iveco del quale in questi giorni il comune ha annunciato l'inizio dei lavori di ristrutturazione.

Infine l'ultimo aspetto, forse quello più importante, riguarda l'attrattività delle strutture. Con attrattività si intende la presenza di tutti quei servizi accessori e complementari che si trovano nei pressi delle due strutture e che rendono la zona più interessante per gli studenti.
Nel nostro caso strutture universitarie, residenze, fermate dei mezzi pubblici, parcheggi, biblioteche, aule polifunzionali, strutture sportive ecc...

E' ovvio come questi servizi siano presenti, e con i futuri step del campus ancor più, in misura rilevante attorno all'area del futuro Campus Universitario e al contrario mancano completamente nella zona di Largo Formentone dove dovrà sorgere il Cubo Bianco in completo isolamento da una rete di servizi per gli studenti universitari.

Appare quindi evidente come la struttura del cubo bianco sia ad oggi, con una popolazione studentesca destinata a rimaner stagnante numericamente, completamente inutile se non dannosa.
Si rischia infatti, a fronte di un investimento preventivato di 1,5 milioni di euro, di ritrovarsi un'aula studio vuota o strutture non completamente sfruttate per la presenza di doppioni sul territorio.

Ancora una volta da parte mia, anche come rappresentante degli studenti, non può che venire un richiamo ad una miglior progettazione dei servizi destinati agli universitari lasciando da parte progetti propagandistici ma inutili sotto l'aspetto pratico.
In un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo investire risorse nel Cubo Bianco vuol dire sprecare del denaro pubblico che potrebbe essere reinvestito con maggior efficacia in altri settori dell'amministrazione comunale.

domenica 14 agosto 2011

La manovra anticrisi e i comuni del bresciano

Con la nuova manovra anticrisi tutte le provincie con meno di 300.000 abitanti e con una superficie inferiore a 3.000 kmq verranno abolite e accorpate con le altre provincie regionali.

La provincia di Brescia si salva di gran lunga avendo ben 1.256.025 abitanti, ma vede stoppato il suo possibile allargamento ad alcune zone del sondriano, visto che quest'ultima provincia dovrebbe salvarsi perchè soddisfa il secondo requisito: quello dell'estensione territoriale oltre i 3mila kmq (3.211,90).

Se la provincia si salva, lo stesso non si può dire per molti dei comuni del bresciano. Infatti la stessa manovra prevede l'accorpamento dei comuni con meno di 1.000 abitanti. Vediamo quali sono quelli destinati a sparire:

Ono San Pietro (991) è il primo dei paesi che sparirà per la mancanza di soli 9 residenti, seguono Provaglio Val Sabbia (969), Cevo (949), Mura (791), Vione (729), Brione (703), Pertica Bassa (698), Marmentino (691), Cerveno (674), Braone (673), Paspardo (654), Lavenone (624), Longhena (620) sperando che con essa non spariscano anche i famosi casoncelli, Pertica Alta (612), Losine (596), Cimbergo (579), Monno (568), Treviso Bresciano (568), Anfo (487), Lozio (416), Prestine (402), Capovalle (401), Incudine (400), Valvestino (214), Paisco Loveno (200), Magasa (152), Irma (152).

Tutto questo alla faccia del federalismo leghista. Spariranno 27 comuni su un totale di 206.
A mio avviso il problema principale è che quando si fanno queste soppressione non si considera la realtà territoriale in cui questi piccoli comuni sono inseriti.
La densità abitativa sui territori montuosi è minore e le distanze si sentono di più rispetto a quanto accade in pianura.
Con questi accorpamenti e soppressione si rischia di rendere ancora più distante la realtà statale dai cittadini. Tutto questo per un costo decisamente irrisorio che non è sicuramente quello alla base della crisi dello Stato.
Ma andiamo tranquilli, i leghisti difenderanno sempre i nostri interessi. Certo come no

sabato 13 agosto 2011

E la risposta della socialdemocrazia europea qual è?

Penso che la lezione più importante dell'attuale crisi sia molto semplice e conosciuta da molti ormai da anni, eppure era sempre stata sottovalutata.
Le ragioni della crisi mondiale e di conseguenza dei singoli stati non è da ricercare nell'azione speculativa dei mercati o capitali locali.
Quella a cui siamo di fronte oggi, è una speculazione internazionale che muove una massa enorme di denaro in pochissimo tempo, ed è in grado di mettere in ginocchio intere economiche nazionali.

Appare quindi logico che una risposta ad attività eversive a livello internazionale non può che arrivare da un piano sovranazionale.
Nel nostro caso il piano sovranazionale è costituito dall'Unione Europea, ed è questa entità politica, oltreché economica, che deve farsi carico di stilare una linea comune sull'economia continentale. Solo adottando misure simili, e al contempo rispettose delle singolarità dei vari paesi, che l'Europa può sperare di uscire più forte dalla crisi.

Se questa è una prospettiva cara a molti non possiamo però illuderci che sia attualmente praticabile. L'autorità delle istituzioni europee è continuamente messa in discussione da più parti - soprattutto dai paesi ex comunisti che dall'ingresso nell'Unione pretendo solo i vantaggi e non anche i doveri - e ad oggi non è in grado di imporre una linea economica comune a tutti gli stati membri.

E' in quest'ottica che il Partito del Socialismo Europeo (PSE) ha il dovere di avviare, e concludere, in tempi brevi un'analisi politica ed economica dell'attuale crisi e conseguentemente stilare una seria proposta sovranazionale per combattere la crisi in atto.
Dopotutto il famoso slogan socialista "Proletari di tutti i paesi, unitevi!" può essere oggi riletta con lo slogan "Mercati di tutti i paesi, unitevi!".
Questo perché il destino del lavoratore del singolo mercato nazionale è ormai legato indissolubilmente agli altri mercati mondiali.
Un'unione dei mercati, non inteso nel senso consumistico del termine ma nel termine socialista. Questa unione deve portare ad un aumento dei diritti, a differenza di quello che avviene oggi dove sussiste una corsa al ribasso per quanto riguarda i diritti dei lavoratori.

Per questo motivo tale proposta dovrà essere recepita in toto nelle proprie linee generali da tutti i partiti nazionali che si rifanno al PSE e ad un'ideologia socialita in generale.
Successivamente i partiti nazionali, adattando con specifiche modifiche le linee generali alle singolarità nazionali, dovranno porre tale documento come la base della propria azione politica nel proprio paese. 


Solo in questo modo la politica, ed in particolare quella che si ispira all'ideale socialista, potrà svolgere il proprio compito in mancanza di istituzioni sovranazionali, e riportare al centro dell'economia nazionale e mondiale non più la speculazione finanziaria ma il valore del lavoro e i diritti dei lavoratori.

venerdì 12 agosto 2011

Da Aristotele alla critica al Partito Democratico


Non si può iniziare alcun discorso, valutazione e pensiero, sulla politica e sul valore che essa ha per l'essere umano se prima non richiamiamo alla nostra attenzione le parole di Aristotele: "L'uomo è per natura un animale politico". Visione, questa, ripresa più tardi dal romano Seneca che esprime lo stesso concetto, apparentemente allargandolo ad una sfera ben più ampia, con un'altra famosa frase: "L’uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole".
Se poi adottiamo la definizione di politica come "quell'attività che regola i rapporti tra gli individui e tra gli stessi e la società" e la accostiamo al pensiero aristotelico che vede la politica come l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, viene naturale arrivare alla conclusione che la politica è fondamentale per l'essere umano.
Lo stesso Gramsci, in un suo famoso scritto datato 11 Febbraio 1917 afferma: "Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare". Ancora una volta torna il tema della partecipazione attiva - il parteggiare - dell'individuo all'attività politica e sociale.

mercoledì 10 agosto 2011

Londra la prossima san Pietroburgo?

"E' solo delinquenza comune" sono queste le affermazioni del Primo Ministro inglese Cameron al suo rientro in patria a causa dei gravi scontri che in questi giorni si sono propagati, dopo aver messo a ferro e fuoco Londra, verso molte città inglesi.

Sinceramente non posso credere che Cameron non sia in grado di leggere la reale situazione e rendersi conto della vera condizione in cui versa il suo paese e più in generale il mondo occidentale.
Le sue parole dell'altro giorno sono in palese malafede. Questo perché solo catalogando gli scontri come comune delinquenza la polizia, e la società, inglese avrà una giustificazione morale per la dura repressione che metterà in atto nei confronti dei rivoltosi.

Non si tratta semplicemente di comune delinquenza o di rivolta etnica. L'Inghilterra è da sempre esempio di integrazione culturale per via della sua lunga storia colonialista. I quartieri periferici di Londra non sono le povere banlieue parigine dove migliaia di migranti sono confinati in ambienti dal forte disagio sociale.
Negli scontri di questi giorni c'erano giovani di ogni colore e cultura.

Quella a cui assiste la società inglese, e con essa il mondo, è una protesta generazionale non etnica. Qualche mese fa hanno iniziato gli universitari, oggi tocca ai giovani senza futuro, rifiuto di una società che ha cercato sempre e solo l ricchezza individuale a discapito di tutto il resto.


Cameron sa bene che quello che sta succedendo altro non è che la naturale conseguenza di 30 anni di politiche neoliberiste, di distruzione del welfare state e del sempre maggior distacco tra i tanti poveri e i pochi ricchi.
Il primo Ministro governa uno dei due paesi culla del neoliberismo occidentale che è alla base della crisi economica attuale. Lo stesso Labour party inglese sotto Blair e Brown si era convertito al liberismo - per tornare adesso verso la socialdemocrazia con Ed Miliband - continuando in una politica di smantellamento del welfare state che si è protratta fino ad oggi con l'unico effetto di far venire meno il supporto sociale alle classi povere del Regno. La crisi economica ha fatto il resto, accentuando le differenze e le difficoltà che già c'erano.

Una crisi generata dai ricchi ma che, come nel resto del mondo, anche nel Regno Unito la stanno pagando i poveri.

Solo in questa ottica possono essere letti i disordini di questi giorni a Londra. L'esplosione del disagio sociale di una generazione a cui stanno rubando il futuro.

Londra non sarà la San Pietroburgo del 1917, ma sarà con molta probabilità il punto di partenza per le future proteste di un'intera generazione, in Inghilterra come nel resto d'Europa.

Per coloro che vogliono riabilitare Craxi

Un filmato per coloro, molti anche nel Pd, che vogliono riabilitare la figura di Craxi


martedì 9 agosto 2011

[Satira] I nuovi palinsesti RAI


Comunicato Giovani Democratici di Brescia sulla riforma di Medicina














Comunicato Stampa
Le riforme del Corso di Medicina e Chirurgia e delle Scuole di Specializzazione medica


I ministri Fazio e Gelmini hanno lanciato, dopo la riforma del sistema universitario, anche la riforma del corso di Medicina e Chirurgia e delle Scuole di Specializzazione mediche.

Una riforma urgente di cui si sente da troppo tempo il bisogno. Come ha fatto notare il Rettore della Statale bresciana, nel 2025 a meno di correttivi mancheranno oltre 40mila medici al sistema sanitario nazionale.

Eppure leggendo le linee guida fatte pervenire fino ad ora dal ministero non possiamo che essere perplessi d'innanzi all'ennesima riforma fatta senza consultare gli studenti e i loro rappresentati negli organi nazionali.

Se da una parte non possiamo che essere soddisfatti del proposito di accorciare il percorso di studi dei futuri medici, dall'altra siamo preoccupati sulle ricadute che possono esserci sull'apprendimento da parte degli studenti e di conseguenza sulla futura preparazione del medico.

Per quanto riguarda la proposta di concentrare tutto il percorso di tirocinio nell'ultimo anno, anziché tenerlo frammentato su più anni, c'è il timore che questo nuovo meccanismo possa compromettere il percorso di apprendimento degli studenti. Un percorso che prevede solo nell'ultimo anno un tastare con mano la professione medica, porta con se il rischio di un distacco tra l'aspetto concreto e l'aspetto teorico della professione. Inoltre l'inserimento dei tre mesi di tirocinio valutativo all'interno dei canonici 6 anni, tenendo fermo il numero di crediti complessivi, non può che portare all'esclusione di precedenti attività formative. Attività formative che ad oggi rientrano nel bagaglio culturale e specialistico del medico.

Però come Giovani Democratici rileviamo come il principale ambito di riforma interesserà le scuole di specializzazione medica. In particolare in questo ambito siamo di fronte ad alcune assurdità a livello legislativo. Secondo la normativa vigente uno studente delle scuole di specializzazione deve conseguire ogni anno 60 crediti - in questo caso equiparati ad un qualunque anno accademico -, con ogni credito pari a 25 ore di apprendimento. Considerando che ad oggi gli specializzandi effettuano 36 ore a settimana di lezione, frontale o pratica, e considerando 48 settimane in un anno, abbiamo un monte ore di apprendimento pari a 1728 ore/anno, un totale che sfora di oltre 200 ore il limite imposto per legge. Un aumento delle ore/settimana come quello auspicato dal Rettore Pecorelli non farebbe altro che aggravare una situazione già paradossale.
Inoltre secondo la legge 368/99 poi modificata dalla legge 266/05 i medici specializzandi sono contrattualizzati secondo regole di formazione specialistica. In altre parole quello che svolgono non è qualificata come attività lavorativa, ma bensì un'attività di formazione specialistica che deve svolgersi in forma teorica e pratica sotto la supervisione, e la guida, di specialisti che devono far acquisire gradualmente una propria autonomia, di nozioni e di responsabilità, allo studente. E' comunque obbligatorio l'affiancamento di un medico allo specializzante che effettua il turno di attività pratica guidata.
Ad oggi con la carenza di medici in servizio presso il ssn gli specializzandi dell'ultimo anno svolgono turni in ospedale senza alcuna supervisione, praticando cosi – senza poter toccare il paziente – il lavoro del medico. Come Giovani Democratici ci domandiamo come i futuri specializzandi potranno essere seguiti se il loro impegno di formazione verrà portato già solo a 50 ore a settimana.
La nostra preoccupazione, e in questo ci uniamo alla CGIL, è che questa nuova riforma serva soltanto a coprire una voragine occupazionale che si fa di anno in anno più profonda, facendo fare il lavoro del medico specialistico a chi la specializzazione non l'ha ancora conseguita, creando cosi una forma illegale di precariato.
Come Giovani Democratici ci rendiamo conto della necessità di una riforma del sistema di istruzione medico e, per questo motivo, chiediamo ai ministri Gelmini e Fazio di aprire un serio confronto istituzionale con tutte le parti sociali. Ma da parte della politica è necessario che ci sia il coraggio di effettuare una seria riforma che coinvolga tutto il sistema e che abbatta determinati privilegi.

Come Democratici crediamo che il confronto non possa che partire dalla discussione sul necessità o meno del numero chiuso e sullo scompenso occupazionale, in negativo, che questi ha portato al sistema sanitario nazionale.
Per questo motivo, come giovani e come universitari, ci mettiamo a disposizione fin da ora dei Ministri competenti per un serio e aperto confronto quando questi lo reputeranno necessario.

Andrea Curcio
Responsabile provinciale Università Giovani Democratici Brescia

Brescia, 8 Agosto 2011

lunedì 8 agosto 2011

Non rinnegare, non restaurare

Non amo citare personaggi che non sento vicini ideologicamente o di cui almeno non condivida il proprio agire, eppure penso che per questo post nessun'altra frase è più adatta rispetto a quella di Giorgio Almirante.

La prendo in prestito premurandomi però di cambiarne, almeno in parte, il significato.
Almirante si riferiva al fascismo, io vorrei invece girarla verso coloro che, iscritti durante la loro gioventù al PCI passando poi per le sue varie reincarnazioni si ritrovano oggi nel Partito Democratico.
Non rinnegare, non restaurare. Non restaurate perché è ovviamente anacronistico oggi un partito con lo stesso nome, anche se molte delle idee di fondo rimangono tutt'oggi valide, la società si evolve e con esso i partiti che devono viverci, devo interpretarla e devono cambiarla come diceva Gramsci. Ma anche non rinnegare, sopratutto se si viene da una storia, come quella del PCI, che è tutto fuorché negativa. La storia di un partito - e di partiti considerando quelli vicini - e di ideali che hanno contribuito attivamente a cambiare il paese Italia. Dalla resistenza fino alla questione morale. I comunisti sono sempre stati l'avanguardia di una richiesta di maggior democrazia, maggior diritti, maggior uguaglianza. Qualcuno, quelli ignoranti, continueranno a ripetere che essi non hanno mai governato, che i loro ideali sono stati sconfitti dalla storia, eppure, proprio e solo in quelle zone in cui il governo comunista c'è stato oggi riscontriamo un alto tenore di vita, sia sociale che economico.
Come non pensare alla zona ToscoEmiliana che è ancora oggi la locomotiva sociale del paese?

Per questo motivo penso che oggi siano da compatire coloro i quali nascondo vergognandosene il proprio passato comunista. Compatirli come si compatisce uno sciocco.
Ma se i primi sono da compatire, una seconda specie di individui è invece da disprezzare profondamente. Questi individui sono coloro che rinnegano non per vergogna, ma per opportunità politica. Da questi sentirai dire che loro non sono mai stati comunisti, li sentirai nominare tutto il pantheon della Democrazia Cristiana e sputare sui grandi nomi della sinistra italiana e sugli ideali che quella stessa sinistra propugnò per oltre cinquant'anni.

E da queste persone che bisogna ben guardarsi, perché chi rinnega il proprio passato rinnega se stesso.E non vedo come queste persone possano guidare il paese verso il futuro.

sabato 6 agosto 2011

Dei giovani idealisti

Non si può iniziare alcun discorso, valutazione e pensiero, sulla politica e sul valore che essa ha per l'essere umano se prima non richiamiamo alla nostra attenzione le parole di Aristotele: "L'uomo è per natura un animale politico". Visione, questa, ripresa più tardi dal romano Seneca che esprime lo stesso concetto, apparentemente allargandolo ad una sfera ben più ampia, con un'altra famosa frase: "L’uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole".
Se poi adottiamo la definizione di politica come "quell'attività che regola i rapporti tra gli individui e tra gli stessi e la società" e la accostiamo al pensiero aristotelico che vede la politica come l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, viene naturale arrivare alla conclusione che la politica è fondamentale per l'essere umano.
Lo stesso Gramsci, in un suo famoso scritto datato 11 Febbraio 1917 afferma: "Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare". Ancora una volta torna il tema della partecipazione attiva - il parteggiare - dell'individuo all'attività politica e sociale.

giovedì 4 agosto 2011

[Satira] I berluscones

Oggi Steffer ci delizia con una vignetta a colori in cui rivisita a modo suo i Berluscones.

Da sx a dx: Bossi, Alfano, Berlusconi, Brunetta, Calderoli, La Russa. In primo piano la Carfagna



A quando il Penati bresciano?

In questi ultimi tempi si parla molto, all'interno del PD e non, del caso Penati e della corruzione, concussione degli amministratori pubblici in particolare nei rapporti con i costruttori.
Tematica questa che sicuramente coinvolge ancora di più la zona lombarda in quanto zona con il maggior consumo del territorio in Italia.

E se nella zona di Milano lo scandalo di Penati è solo l'ultimo a venire alla luce - ricordando che Tangentopoli parte proprio dalla città lombarda - nella zona bresciana i casi sono sporadici e dopo un'iniziale pubblicità spariscono anche dalle cronache locali - vedasi il caso di Castelmella.

Mi sento però sicuro nell'affermare che la mancata scoperta di casi simili non equivale alla loro assenza.
Negli anni passati e tutt'ora da una parte e dall'altra i legami tra la politica e i costruttori sono sempre più forti. Giusto per rimanere al passo con i tempi e limitandoci alla città di Brescia, i grattacieli davanti a campo Grande, il grattacielo d'innanzi alla Freccia Rossa, poi i tanto annunciati e sponsorizzati cittadella dello sport, sede unica del comune, parcheggio sotto al castello ecc...

Davanti alle perplessità legittime di molti cittadini che contestano questo continuo costruire, e quindi di consumo del territorio, in un periodo di crisi del settore immobiliare, la politica di ieri e di oggi non si fa scrupolo a portare avanti questi dispendiosi, economicamente ed ecologicamente, progetti. Tutto questo fa sorgere dei legittimi dubbi su questo continuo intrecciarsi di interessi tra politica e costruttori. Legami resi ancora più stretti dalle comuni appartenenze di questi due soggetti a lobby politico-economiche come sono Comunione e Liberazione/Compagnia delle Opere nel bresciano e più in generale in Lombardia.

A questo punto lo scandalo in salsa bresciana sulla scia del caso Penati è solo una questione di tempo e di lavoro della magistratura

mercoledì 3 agosto 2011

[Satira] Bossi e la parte giusta

Far soldi con i rifiuti

Riprendo un post apparso oggi sul blog di Laura Castelletti e mi domando quanto ancora dovremo attendere in Italia per arrivare ad una soluzione del genere che ormai da anni, e non solo in Norvegia, è ormai praticata con continuità.

Fino a quando, a Brescia in particolare, si userà la raccolta differenziata della plastica per dar maggior potere all'inceneritore anziché usarla per il riciclo?


La Coop che è cosi attenta al rispetto dell'ambiente e dei consumatori, quando darà inizio a qualcosa di simile?

martedì 2 agosto 2011

Strage di Bologna vista con gli occhi di allora

Grazie agli archivi storici de L'Unità e de La Stampa, vi ripropongo in questo post le prime pagine dei due quotidiani del 3 Agosto 1980 - il giorno dopo la strage della Stazione di Bologna. A seguito delle due prime pagine, allego anche l'articolo scritto dall'allora segretario del PCI Enrico Berlinguer apparso sulla prima pagina de L'Unità del 5 Agosto 1980.
Cliccate sulle immagini per vederle ingrandite.



 




[Satira] Se non ci sono le borse di studio

E dopo i tanti post sulla situazione bresciana e nazionale circa le borse di studio, ecco una vignetta che riassume il nuovo concetto di studio.

[L'Unità] L'università italiana sempre meno un ascensore sociale

Riporto di seguito un articolo comparso sul sito del quotidiano L'Unità il 16 Luglio 2011 nel quale, attraverso molteplici dati, si analizza la situazione dell'Università italiana


«Figlio di un operaio o figlio di un petroliere fa lo stesso», scrive Roger Abravanel, già consulente della McKinsey & Company e ora consigliere del ministro Mariastella Gelmini: quello che conta è il merito.

Vallo a raccontare a Girolamo, figlio di un camionista e di una casalinga, nato e cresciuto a Palmi, Calabria. Girolamo ha vent'anni, è perito informatico e vorrebbe laurearsi. Lo scorso settembre, appena diplomato, si è messo a inseguire la chimera di una borsa di studio e di un alloggio alla Casa dello studente di Cosenza.

Alla fine, anche se aveva superato il test a numero chiuso, si è scoraggiato. E non si è più iscritto. Quest'anno ci riproverà, in proprio: «Facendo un po' il cameriere, un po' il meccanico ho messo da parte 700 euro». Per mantenersi all'università da fuori sede, in un anno ce ne vogliono 7mila. Storie di ordinaria esclusione dall'università italiana.

Sempre più ragazzi rinunciano in partenza. Se nel 2002, il 74,5% degli Under 20, presa la maturità, correva a iscriversi all’università, sperando in un futuro e un lavoro migliore, nel 2009 (ultimo dato disponibile) quella percentuale è scesa al 65,7%, facendo passare da 330mila a 293mila le matricole under 20. Nove punti percentuali persi in 8 anni: 38mila ragazzi che, usciti dalla scuola superiore, non ci hanno neppure provato. E la parabola discendente precipita letteralmente in certe province del Sud. A Catania, per esempio, dove appena il 46,4% dei maturi si iscrive all’università. Oppure a Cagliari, dove la percentuale è del 56,8%. Ma anche il Nord ha i suoi abissi. A Sondrio, il rapporto tra diplomati e matricole è del 46,7%; a Bolzano, non va oltre il 37,3%. E chi si iscrive spesso resta indietro fin dal primo metro. In più, una buona fetta delle matricole - circa il 13,3% -, al termine del primo anno non ha superato neppure un credito e da matricola finisce direttamente nel limbo degli «inattivi». Mentre ancora di più, il 16,7%, sono quelli che gettano la spugna dopo il primo anno. Cronaca di un’emorragia che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di chi governa il paese. Chi sono questi ragazzi che rinunciano all’università? Perché invece di proseguire gli studi decidono di fermarsi? L'ultimo rapporto Almalaurea lo dice esplicitamente. Tra le cause del calo di immatricolazioni, c'è «la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria» unita a «una politica del diritto allo studio ancora carente». Una sorta di tenaglia che si stringe attorno ai ragazzi. Da una parte, la crisi rende più severo il bilancio delle famiglie che non ce la fanno più a sostenere le spese universitarie. Dall'altra, il bilancio dello Stato, invece di potenziare le scarse risorse destinate alle borse per gli studenti, taglia i fondi per il diritto allo studio.

Mentre in Germania o in Francia uno studente su quattro riceve una borsa di studio, in Italia nemmeno 1 su 10 riesce ad ottenerla. Su una popolazione di 1,8 milioni di iscritti, appena 150mila nel 2010 ne hanno beneficiato. E peggio ancora va per gli alloggi universitari che sono appena 41mila in tutta la penisola. Gli sbarramenti di reddito sono molto bassi, escludono non solo il ceto medio, e variano da regione a regione: sotto gli 11mila euro in Abruzzo, meno di 14mila in Molise, fino a 19mila in Piemonte. E anche tra gli idonei, 1 ogni 6 resta fuori. Gli esclusi nel 2010 erano 29mila su 179mila aventi diritto (il 16,3%). Un’ingiustizia anche qui diversamente distribuita. Più di 2mila esclusi in Abruzzo, dove solo il 55% degli idonei ottiene la borsa; 7mila in Campania, dove la percentuale è del 56%; 4400 in Calabria, dove è beneficiato della borsa solo il 59%, etc. La domanda dovrebbe essere: come includere almeno loro? E invece il governo ha stanziato appena 26milioni per il prossimo anno, reintegrate a 97 milioni, dopo le proteste, per l'anno in corso. Comunque meno della metà dei 246milioni di euro stanziati nel 2009 e 50 milioni in meno della media degli anni precedenti. In compenso 10 milioni li ha destinati alla "Fondazione per il merito", istituita sulla scia dell'Abravanel-pensiero. Ma chi se la merita un’università così. se non chi può permettersi di sostenerne i costi anche senza borsa? A questo proposito sono illuminanti i dati Eurostudent. I laureati tra i 45 e i 64 anni sono appena l'11% della popolazione generale (il 10% tra le donne) ma se guardiamo alla popolazione universitaria il 20% degli studenti universitari ha un padre laureato (il 17% una madre). Mentre appena il 35-6% degli studenti hanno un padre o una madre con un titolo di studio medio-basso, percentuale che sale al 62% nella popolazione generale. E solo il 28% ha un padre operaio (44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni).

D'altra parte la laurea ha perso attrattiva anche, anzi, forse soprattutto per le classi più svantaggiate. La disoccupazione, per chi ha la laurea triennale, è passata dall'11,3% del 2007 al 16,2% del 2009. E chi trova lavoro in un caso su due è precario. Mentre gli stipendi passano dai 1210 euro del 2007 a 1149 euro del 2009. Il deterioramento della condizione occupazionale dei laureati, insomma, è l'altro grande fattore che rema contro quello che è stato fin qui uno dei principali obiettivi di crescita del paese: estendere la formazione universitaria anche alle fasce di popolazione che ne erano tradizionalmente escluse. Trent'anni fa i figli della «classe operaia» (così nella classificazione di Almalaurea) tra i laureati erano l'1,5%, nel 2004 erano il 22,4%, nel 2010 sono il 25,8%. Una tendenza che, a leggere i dati delle immatricolazioni, sembra destinata a invertirsi di nuovo. E mentre in Europa i figli di genitori con un titolo di studio basso che si laureano sono il 17%, in Italia la percentuale è ancora all'8%. Che vadano a scaricare la frutta ai mercati generali, ha suggerito Brunetta, a quanti tra i giovani sono esclusi dal mercato del lavoro. La riforma Gelmini, rispetto agli esclusi dall'università, non fa di meglio: non ha neppure provato ad analizzare il problema.



La fonte del link: http://www.unita.it/scuola/2011-fuga-dalle-universita-crollo-degli-iscritti-1.314231

lunedì 1 agosto 2011

Una salamina per far meglio politica

La festa di partito, che io personalmente mi ostino a chiamare ancora festa de L'Unità, non è solo un momento di svago durante il quale ascoltare la musica, bere una birra e mangiare un panino e salamina.

E' sopratutto un momento di crescita e di collegamento tra gli eletti e la base. Ma a differenza di quello che pensano molti, questo collegamento non dev'essere in senso univoco, non dev'essere solo un momento in cui gli eletti espongono alla base il loro agire, ma dev'essere sopratutto un ascoltare da parte degli eletti le voci degli elettori. Per far ciò l'eletto deve svestire i suoi panni istituzionali e tornare ad essere parte della base.

Personalmente penso che se i nostri eletti, anche solo una volta l'anno, si mettessero dietro il bancone, dalla parte di chi lavora, probabilmente riscoprirebbero l'umiltà, che manca a molti, e capirebbero davvero cosa si aspetta la base del partito e i nostri elettori. Inoltre aspetto non secondario per loro - gli eletti - risulterebbero certamente più simpatici ai propri elettori. Questo è sicuramente uno degli antidoti al distacco della politica dalla società.

Lasciando i vecchi, vorrei adesso spostarmi sui giovani. Se questa categoria necessità di corsi di formazione per arrivare preparati alle sfide del futuro, il lavorare alle feste li farebbe davvero sentire parte di un sistema, di un partito e al contempo permetterebbe loro di confrontarsi con i vecchi in un ambito molto più informale delle riunioni di sezione.

E allora a questo punto davvero si può dire: una salamina oggi per una politica più pulita domani

[Satira] La situazione dei giovani precari in Italia

Un nuova vignetta di Steffer che sintetizza la situazione dei giovani studenti e precari nell'Italia di oggi