venerdì 12 agosto 2011

Da Aristotele alla critica al Partito Democratico


Non si può iniziare alcun discorso, valutazione e pensiero, sulla politica e sul valore che essa ha per l'essere umano se prima non richiamiamo alla nostra attenzione le parole di Aristotele: "L'uomo è per natura un animale politico". Visione, questa, ripresa più tardi dal romano Seneca che esprime lo stesso concetto, apparentemente allargandolo ad una sfera ben più ampia, con un'altra famosa frase: "L’uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole".
Se poi adottiamo la definizione di politica come "quell'attività che regola i rapporti tra gli individui e tra gli stessi e la società" e la accostiamo al pensiero aristotelico che vede la politica come l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, viene naturale arrivare alla conclusione che la politica è fondamentale per l'essere umano.
Lo stesso Gramsci, in un suo famoso scritto datato 11 Febbraio 1917 afferma: "Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare". Ancora una volta torna il tema della partecipazione attiva - il parteggiare - dell'individuo all'attività politica e sociale.
Possiamo cosi dedurre che l'individuo necessita di vivere all'interno di una comunità - polis in lingua greca - e che trova la propria completezza sociale oltreché nelle relazioni con gli altri individui anche e soprattutto attraverso la politica e la sua partecipazione alla gestione del bene pubblico.

Non è quindi un caso se, sia nella società greca che in quella romana l'impegno politico per i cittadini maggiorenti oltreché essere un onore è anche visto come un dovere. Un dovere che permane anche in epoca imperiale con la sopravvivenza dei fori e dei Senati, non solo a Roma capitale storica dell'impero, ma anche nelle piccole città di provincia dove le aristocrazie locali partecipano alla vita politica e alla gestione del bene comune.
Con la caduta dell'Impero Romano questa tradizionale partecipazione politica viene meno - anche a mio avviso a causa di alcune dottrine religiose che suddividono in classi sociali fortemente definite la popolazione umana - e rinasce sporadicamente, ma in modo significativo, in alcune esperienze limitate storicamente e geograficamente: i comuni italiani e successivamente nella Svizzera cantonale. Non è un caso se proprio in questo periodo, nel XVII secolo, si afferma l'individuo come affermazione personale. La locuzione latina ripresa dal filosofo inglese Hobbes esprime molto bene il concetto “Homo hominis lupus”. L'individuo si realizza non più all'interno di una comunità, ma a discapito della stessa. L'affermazione personale ed individuale fa quindi venir meno la buona gestione del bene pubblico.

Solo con la rivoluzione americana prima e quella francese poi, ritorna al centro della vita dell'individuo la sua socialità e quindi il suo impegno politico. Nel mondo moderno ritorna quel concetto tanto caro agli uomini del periodo classico. Con una differenza sostanziale: la comunità non è solo l'insieme dell'aristocrazia detentrice di diritti. Il concetto di comunità viene allargato a tutti coloro che abitano nel nuovo Stato-Nazione. E' la più grande conquista ideologica delle rivoluzioni settecentesche. Nei fatti diversi strati di popolazione rimangono ancora esclusi dalla pratica della politica, ma il germe è stato impiantato, la strada per il suffragio universale è ormai aperta.
Ma le relazioni dirette che sono adattabili esclusivamente a contesti limitati, come le polis greche o i comuni italiani medievali, vengono però meno negli stati moderni, troppo estesi geograficamente e demograficamente per consentire la partecipazione diretta dell'individuo/cittadino alla gestione del bene pubblico. Per permettere questo nascono, nel mondo moderno - i primi partiti sono riconducibili alla seconda metà dell'ottocento - i partiti politici che riuniscono, sotto ideali e simboli, individui dal comune sentire politico e dalla pari visione di bene comune. Il confronto/scontro interno ed esterno ai partiti risponde e soddisfa la necessità di partecipazione politica che è propria del cittadino.
Ma proprio nel periodo in cui nasce la concezione di partecipazione universale dei cittadini alla gestione del bene comune, riprende vigore il concetto di individualismo. Questa volta non più come semplice visione filosofica – vedi le teorie di Hobbes – ma come una più ampia visione che coinvolge tutta la società e soprattutto l'economia.
La nuova concezione si concretizza con l'avvento della prima rivoluzione industriale, e ancor più con la seconda di metà ottocento. Nella società permangono le differenze di classi, ma questa volta la motivazione non è più religiosa, ma economica. Questa contrapposizione fa nascere, insieme ad alcune delle dottrine filosofiche più importanti, anche l'impegno politico delle masse fino ad allora escluse dalla gestione del bene pubblico.
L'indifferenza politica, che Gramsci teorizzerà mezzo secolo dopo, viene meno. Dalle associazioni di mutuo soccorso degli operai e dei contadini nascono i primi partiti politici – nell'accezione moderna del termine. Il cambiamento avviene perché la necessità è quella di rispondere alla richiesta di partecipazione alla vita pubblica da parte delle masse lavoratrici. Non è un caso che il primo partito strutturato sia un partito socialista. In Germania nel 1875 nasce quello che solo cinque anni dopo prenderà il nome di Spd. Sempre Gramsci afferma: " una massa non si 'distingue' e non diventa 'indipendente' senza organizzarsi ". Il partito risponde a questa necessità di organizzarsi.
Le masse lavoratrici chiedono che venga riportata al centro di tutto la collettività. E' la prima forte contrapposizione ideologica della società umana. Per un po' il nuovo sistema sembra funzionare.
Il problema nasce quando il potere economico inizia a sovrastare il potere politico. Non è più la politica che controlla e limita il mercato, ma il contrario. L'individuo non ha più modo di sviluppare la propria socialità perché essa è annullata dal mercato. Lo stato si piega al volere dell'economia e il cittadino non viene più considerato come persona portatrice di diritti e doveri, ma solo come un consumatore il cui unico scopo è quello di far girare l'economia.
La portata distruttrice di questo nuovo modello si manifesterà in modo molto chiaro durante gli anni '80 del XX secolo. Fino ad allora, almeno in Europa, i grandi partiti socialdemocratici avevano posto un freno alla crisi dello stato sociale.
Il consumismo diretta conseguenza della crescita economica e sociale di una parte del mondo illude le classi lavoratrici di aver raggiunto il proprio obbiettivo. Tutti si sentono ricchi. E con la scomparsa, non reale ma bensì virtuale, delle classi lavoratrici - quelle che secondo Marx sono le forze innovatrici della società - giunge la crisi dei partiti di ispirazione socialdemocratica. Gli ideali che avevano portato le classi subalterne alla ribalta politica subiscono dei forti processi di revisione. Ritorna l'indifferenza politica, questa volta già teorizzata da Gramsci e quindi ben conosciuta. Questa volta non sono più le classi dominanti che impongono l'indifferenza dell'individuo, ma è l'individuo stesso che sceglie consapevolmente di diventare indifferente, di non essere più partigiano nell'accezione gramsciana del termine. Un effetto evidente di questo fenomeno è la sempre maggiore astensione del cittadino dall'atto principale di una società democratica-rappresentativa. In Italia per esempio dal 1979 agli ultimi anni l'astensionismo è quasi raddoppiato in termini percentuali alle elezioni politiche, senza considerare i referendum che ormai da anni non portavano neanche il 50% dei cittadini aventi diritto alle urne.

Seppur indipendente dalla crisi dei partiti socialdemocratici, negli anni '80 assistiamo anche ad un'altra crisi di ancor più vasta portata, che intrecciata con quella appena descritta ha un impatto devastante sulla società umana. L'Unione Sovietica, atto pratico delle teorie marxiste-leniniste, vive una profonda crisi che si risolverà tra la fine del decennio e l'inizio del successivo, prima nella caduta del muro di Berlino e poi nella caduta della stessa Unione Sovietica. Le masse lavoratrici perdono definitivamente un punto di riferimento ideologico che le aveva accompagnate per oltre settant'anni. Il mondo resta con un unico punto di riferimento: gli Stati Uniti d'America.
E' il trionfo del neoliberismo, del quale il consumismo è un aspetto, e dei suoi simboli. I nomi di Magaret Tatcher e di Ronald Reagan entrano nella storia, sono i campioni del neoliberismo. L'individuo è al centro di tutto anche, e soprattutto, a discapito degli altri individui e quindi della collettività. Il bene comune è subordinato al bene individuale. Il welfare state simbolo della solidarietà tra le classi sociali viene pian piano smantellato.
L'uomo è sempre meno sociale e sempre più lupo. La solidarietà tra individui riassunta nel concetto "chi più ha più dà" viene messa in discussione e la conseguenza altro non è che l'allargarsi della forbice tra le classi ricche e le classi povere - all'interno degli stessi paesi - e tra il nord e il sud del mondo. Non ha caso la forbice oggi, nel 2011, è molto più aperta che non durante gli anni '70.
L'onda lunga del neoliberismo si trascina cosi per tutti gli anni novanta coinvolgendo addirittura alcuni partiti socialdemocratici – per esempio il new labour di Tny Blair -, ma nel momento della crisi economica dei primi anni del XXI secolo l'ancora di salvezza per le classi lavoratrici nei confronti dell'individualismo imperante arriva ancora una volta dai partiti politici, che superata la crisi ideologica si fanno ancora portatori di ideali che consentono ai cittadini di ritrovarsi e di tessere relazioni politiche.
Se ciò succede nella maggior parte dell'Europa occidentale, la situazione in Italia è completamente diversa. Negli anni '80 alla crisi ideologica si accompagna anche una profonda crisi del sistema politico e morale del paese, che porterà appena un decennio dopo alla morte, in un contesto tragico, della prima repubblica e alla nascita di un nuovo modello di partito tutto italiano.
Il primo più evidente sintomo di questa crisi si ha prima con la denuncia da parte di Enrico Berlinguer della “Questione Morale” e successivamente con l'ascesa di Bettino Craxi alla guida del PSI - il più vecchio partito italiano. Il PSI, in crisi ormai da anni, lascia da parte gli ideali e si trasforma in un partito leaderistico che persegue il potere per il potere – come disse in una famosa intervista Enrico Berlinguer. Non sarà un caso unico. Nei primi anni '90 Tangentopoli avvia un cataclisma nel sistema politico italiano. La maggior parte dei vecchi partiti scompariranno ed entreranno sulla scena politica nuovi soggetti, tutti accomunati da una visione leaderistica del partito come rilevato da Ilvo Diamanti in un bell'articolo su La Repubblica.
Il vecchio modello organizzativo sopravviverà esclusivamente nelle successive incarnazioni del Partito Comunista – PdS e poi DS – perchè fonda la propria politica su specifici ideali e su un'organizzazione che va oltre alla singola persona. Non a caso il segretario del passaggio da PCI a PDS scomparirà poco dopo dalla vita del partito senza lasciare segni evidenti. Solo in questo caso si persegue la filosofia di Antonio Gramsci che vede il partito come un organismo in cui si concentra e si concretizza la volontà collettiva – l'ideale – della classe rivoluzionaria. L'ideologia è il collante, l'organizzazione è quel meccanismo che permette la non disgregazione dell'insieme. Tutto ciò va oltre il personalismo
Ma è un concetto completamente estraneo alla nuova politica. Gli ideali vengono lasciati da parte se non quasi ostracizzati e portati come esempio del male assoluto in politica. Le strutture che per cinquant'anni hanno permesso la partecipazione dei cittadini alla gestione del bene pubblico cadono e vengono rimpiazzate dalla figura dell'uomo solo al comando. Ciò è ben testimoniato dall'usanza, entrata con l'inizio della seconda repubblica, di inserire il nome del leader del partito all'interno del simbolo elettorale.
I partiti italiani non si differenziano più per ideali. Quando un cittadino decide di unirsi ad un partito, sa che il loro unico scopo non è più aggregare e coinvolgere persone attorno ad un ideale alla ricerca del bene comune, ma quello di sostenere un leader che è tale non perché eletto dalla base, e quindi attraverso una gestione democratica del partito, ma perché ha fondato o acquistato lo stesso.
L'individuo non trova più il suo completarsi attraverso il concorrere alla gestione del bene pubblico, ma attraverso la gestione del bene individuale o al massimo di gruppo, dove con gruppo si intende un insieme limitato di individui che si associano rispetto ad interessi comuni. Insieme al distacco dai partiti e della politica nascono i gruppi sociali che cercano di soddisfare la richiesta di sempre seguendo però altre strade.
Ma essendo la richiesta di partecipazione politica una necessità intrinseca nell'essere umano, questi gruppi sociali non possono sopperire alla mancanza dei partiti politici. Questo quando proprio nell'ultimo periodo la richiesta di partecipazione politica ha ritrovato spazio nella società italiana. E' nei momenti di crisi economica, sociale e politica che il cittadino/individuo, anche perché colpito nei propri interessi, sente più forte il richiamo all'attività della gestione del bene comune.
Tale spinta, che in situazioni del genere non può che assumere connotati antisistema, necessità di essere canalizzata attraverso delle strutture organizzative che sappiano farsi portavoce e nel contempo moderare tale spinte. Ma il sistema italiano, a causa della crisi sopra illustrata, non è in grado di rispondere a tale richieste e men che meno domarle, incanalandole cosi verso un confronto democratico costruttivo per il paese.
E cosi, di fronte ad una mancanza del sistema, la risposta non può che venire dalla nascita di movimenti che rimettono al centro il cittadino/individuo, ma dove però è presente solamente uno dei due aspetti teorizzati da Gramsci nei suoi Quaderni. Come detto sussistono degli ideali di fondo spesso antisistema – il collante gramsciano - , ma al contempo manca il secondo aspetto teorizzato da Gramsci: non sussiste una struttura che incanali ed organizzi gli ideali. Anche queste nuove organizzazioni – Il popolo Viola, Il movimento cinque stelle, i vari comitati locali – non possono rispondere in modo concreto ad una richiesta di partecipazione politica che viene dal basso.

In quest'ottica, le critiche non possono che coinvolgere anche l'unico partito anomalo del panorama italiano.
Il Partito Democratico, pur avendo attraversato durante la segreteria Veltroni un momento leaderistico dove le strutture del partito sarebbero dovute venir meno a favore di un partito light, è attualmente l'unico partito che non basa, e lega, la sua esistenza sulla presenza di leader.
Eppure, anche essendo l'unica anomalia di un sistema in crisi, il Partito Democratico non riesce a rispondere a quella richiesta di partecipazione che viene dalla base. Le motivazioni di fondo di questa mancanza sono sostanzialmente due.
In primo luogo manca il primo elemento gramsciano. Il Partito Democratico, nella sua fretta realizzativa, non è un partito creato su una base programmatica, ma semplicemente sulla fusione a freddo di due entità politiche, ognuna con una storia politica con delle proprie radici ben definite, seguente un mero calcolo politico/matematico. Alla base del processo di creazione del Partito Democratico non c'è stata una seria e profonda lettura del contesto sociale e politico italiano, soprattutto considerano che l'elettore di centrosinistra è mediamente più critico rispetto al suo corrispettivo del centrodestra. E' un errore che paghiamo ancora oggi con una forte diaspora di membri ed elettori, in prevalenza giovani, verso formazioni più a sinistra del Partito Democratico. Forse, con il senno di poi, la mozione Angius avrebbe dato al Partito Democratico il tempo necessario per strutturare in modo serio e pensare la propria piattaforma politica, senza dover affrontare subito e con diverse lacune una competizione elettorale come quella del 2008. Se non fossero stati commessi tali errori oggi forse sapremmo in modo chiaro quali sono le posizione politiche del partito.
Dalla prima mancanza deriva necessariamente la seconda che può essere riassunta nella parola corrente. Infatti in mancanza di una base programmatica è inevitabile che si vengano a creare dei gruppi di iscritti e dirigenti – le correnti – che portano avanti le proprie idee, e soprattutto persone, per imporre la propria linea in una forma di scontro, e non più confronto, con le altre componenti del partito. Lo scontro che dovrebbe essere esterno tra i vari partiti che si contendono la gestione del bene pubblico, viene traslato sul piano interno gettando cosi le basi per una futura implosione nel momento in cui si verrà a palesare un casus belli. Per avere una dimostrazione di ciò basta vedere la storia della Democrazia cristiana post tangentopoli.
Il partito si distacca cosi dalla realtà quotidiana della società per ripiegarsi su una propria autoreferenzialità correntizia che si palesa innanzitutto con una mancanza di ricambio negli organismi dirigenti e negli incarichi amministrativi. Ognuno difende la propria persona convinto di difendere la propria idea di partito.
Cosi se il confronto è una delle basi di democrazia interna, lo scontro non è altro che l'indice di una frammentazione tematica e politica del partito. Una frammentazione che non può che portare alla morte politica del partito e che non permette di portare avanti il concetto di centralismo democratico, riassunto nel concetto: “Unità non è unanimità”. Anche la minoranza, una volta presa una decisione, deve impegnarsi a portare avanti la linea del partito. In caso contrario, che è quello che avviene oggi, lo scontro che dall'interno viene proiettato verso l'esterno, ed in particolare sui mass media, non può che portare al disorientamento dell'elettore e di conseguenza far apparire la linea del partito confusionarie e fumosa.
Questi due aspetti non possono che comporsi in un circolo vizioso: le correnti agendo come sopra illustrato non fanno che rendere sempre più confusionaria la base programmatica del partito. Tale situazione non può che risolversi in un aumento dell'attività delle correnti continuando il circolo. Questo porta anche l'unico partito che oggi potrebbe rispondere alle necessità dei cittadini ad essere incapace di farsi portavoce del disagio sociale a causa della sua stessa natura. Un partito nato da un semplice calcolo matematico di opportunità politica non può andare incontro alla richieste della società.

In una situazione come quella precedentemente descritta il Partito Democratico non può che perdere credibilità e appeal nei confronti del proprio elettorato, in particolare in quello di sinistra, che si vedrà costretto o a guardare verso altre direzioni o a perdersi nel mare dell'astensionismo. Ma se non esistono alternative verso cui guardare, l'unica alternativa che rimane è l'astensionismo. Cosi il Partito Democratico, insieme agli altri partiti di sinistra anch'essi in crisi, ha la responsabilità politica di non essere in grado di rappresentare una grande maggioranza dell'elettorato di sinistra italiano. Una responsabilità che si fa ancora più grave se consideriamo che il Partito Democratico nasce, anche, dalle ceneri dell'unica alternativa seria di sinistra in Italia.

Tutto ciò non può che risolversi, come detto prima, verso spinte antisistema, che non vuol dire necessariamente violente, che delegittimano coloro che amministrano il bene comune senza in realtà offrire una seria alternativa. Siamo cosi arrivati alla caduta del ruolo della politica e di conseguenza del concetto di comunità.

In uno scenario economico-sociale dove impera l'individualismo e in contemporanea uno scenario politico che non è in grado di rispondere agli stimoli e alle richieste che vengono dalla società, non possiamo stupirci come un ampio strato di società, in particolare i giovani che sono coloro che più di tutti vedono messo in discussione il proprio futuro, si rifugi nel passato mitizzando alcune particolari esperienze politiche che nel bene e nel male hanno segnato la storia italiana.
E' uno sguardo al passato alla ricerca di miti e di sicurezze che oggi non ci sono più. Si è creata una generazione di nostalgici dei vecchi partiti politici. Nostalgici di un periodo nel quale la politica rispondeva, anche se a volte in maniera dogmatica, alle incertezze della società e dava l'occasione, o quantomeno l'illusione, di poter partecipare e di poter cambiare la società.
Un ritorno al bianco e nero pre-caduta del muro di Berlino anche perché l'attuale società non ha compreso e non ha saputo far comprendere la moltitudine di sfumature che si sono aperte con la nuova società.

E cosi ritorniamo al punto dal quale siamo tornati, forse un'amara dimostrazione di come la società umana non sia altro che un ciclo. La comprensione di tale sfumature può avvenire solamente attraverso la partecipazione alla gestione politica delle nuove generazioni che richiedono di partecipare alla gestione del bene pubblico.
E' un dovere della politica italiana, e in particolare dei partiti di centro sinistra, rispondere a questa necessità. Ciò può avvenire solamente attraverso una seria ristrutturazione, organizzativa e ideologica, del sistema partitico italiano che distacchi la sua figura da quella frase del “Sono tutti uguali” che negli ultimi due decenni ha fatto sprofondare la società italiana verso il baratro della crisi morale e sociale. Una ristrutturazione che dovrà essere anche morale, con il conseguente allontanamento di tutti coloro che usano la politica per fini personali.

O il sistema partitico saprà ristrutturarsi dall'interno, non nell'ennesima riedizione di qualcosa di già visto ma in qualcosa di veramente nuovo, o sarà con molta probabilità travolto completamente dalla crisi della società che porterà inevitabilmente a soluzioni traumatiche.


3 commenti:

  1. Tralascio l'ante PD perché l'hai presa larga. Non sono interessato ad un dibattito sullo scibile umano.

    Sul PD è un'analisi da entomologo, da scienziato della politica, che osserva al microscopio o al telescopio. Si possono permettere questa freddezza coloro che non sono portatori di tesi, e la tua tesi (o ipotesi, o adderittura dogma) è un bel macigno, e vizia tutta l'analisi.

    Non sono mai generoso con Veltroni, apprendo che c'è chi lo stima meno di me.

    Ho visto la nascita del PD, che è stato un parto lungo lustri, più o meno da Moro in avanti. L'ho seguito giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, mattone dopo mattone.
    Nel PD sono confluite (ed hanno concorso a formarlo) le migliori menti, le più generose, della sinistra DC e del PCI insieme a molti altri che si sarebbero chiamati "laici" quando tu non eri ancora nato.

    Il mio cervello ed i miei pensieri hanno accompagnato questa lunga genesi e formato un partito compiutamente Democratico e progressista, un partito che ha radici saldissime ed un futuro davanti. Un partito che, in una contingenza difficilissima come l'attuale, è il primo partito in Italia ed in costante consolidamento.

    Se qualcuno vuole seguire le sirene di qualche comitato elettorale travestito da partito (quali finora sono SEL e IDV, non parliamo dei grillini) faccia pure, è un'operazione in positivo per il PD che ha comunque queste "liste" come alleate e che conquisterà nuovi consensi dove è più difficile e dove conta, al confine con l'avversario politico, lo schieramento a noi opposto.

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  2. Le conclusioni proiettate verso il futuro, invece, mi vedono concorde quasi al 100%. E' per questo che mi stupisco di trovare un giovane (tu lo sei, anche se non in eterno, ricordati) guardare così all'indietro invece che avanti...
    Ciao!

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  3. Credo che la tua analisi sia molto attenta e puntuale, la riflessione, nella sua complessità, mantiene un filo logico e un piglio critico che, come immaginerai, specialmente in alcuni aspetti, io condivido.
    A partire dalla considerazione sulla genesi del Partito Democratico, quella di una "fusione a freddo" tra due realtà che, nostro malgrado, non hanno ancora stabilito un piano programmatico. Questo è un limite che si vive osservando il PD dall'esterno, ma soprattutto vivendolo nella sua organizzazione interna ed ogni qualvolta si presenta come necessario entrare nel merito dei temi e delle modalità operative attraverso le quali manifestare i nostri intenti all'elettorato. Non è un problema da poco e, per quanto questa dinamica possa essere giustificata dalla giovane età del partito stesso, non si può fare a meno di notare che si delinea come una questione invalidante e generatrice di frammentarietà in un momento storico-politico che, al contrario, avrebbe bisogno di uno slancio serrato e unidirezionale. Questo spirito non dovrebbe certo essere motivo di appiattimento ideologico, le due realtà hanno infatti senso di esistere, in maniera complementare e come fonte di arricchimento nelle differenze, oltre che di rappresentanza di una vasta e considerevole parte dell'elettorato italiano. Detto questo, una sintesi sui temi urgenti del Paese va trovata e noi, proprio in virtù della nostra composizione, abbiamo la responsabilità di occuparcene. Bisogna avere il coraggio di anteporre una linea programmatica onesta, in grado di dichiarare al Paese un programma atto a risollevare l'Italia, che non fa leva su parole tronfie di retorica, ma su soluzioni pragmatiche e certamente spiacevoli, soluzioni che richiederanno lo sforzo e il sacrificio di tutti quanti. Io mi aspetto che il mio partito lavori a tutto questo. A volte mi risulta difficile immaginarne la realizzazione quando anche in una giovanile (cartina tornasole dell'andamento generale) che dovrebbe rappresentare la forza innovativa, spesso ci si ripiega su questioni sterili e non si mette in primo piano questo obiettivo. Ma quest'ultima considerazione potrebbe essere dettata dal pessimismo del caldo di agosto...D'altro canto, citando Aristotele, per chiudere il cerchio come tu l'hai iniziato, vero è che "l'uomo è un animale politico", ma la politica non può essere una scienza perfetta, è necessario ragionare sempre nei termini di una grande approssimazione.

    Giuliana Andreoli

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