sabato 6 agosto 2011

Dei giovani idealisti

Non si può iniziare alcun discorso, valutazione e pensiero, sulla politica e sul valore che essa ha per l'essere umano se prima non richiamiamo alla nostra attenzione le parole di Aristotele: "L'uomo è per natura un animale politico". Visione, questa, ripresa più tardi dal romano Seneca che esprime lo stesso concetto, apparentemente allargandolo ad una sfera ben più ampia, con un'altra famosa frase: "L’uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole".
Se poi adottiamo la definizione di politica come "quell'attività che regola i rapporti tra gli individui e tra gli stessi e la società" e la accostiamo al pensiero aristotelico che vede la politica come l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, viene naturale arrivare alla conclusione che la politica è fondamentale per l'essere umano.
Lo stesso Gramsci, in un suo famoso scritto datato 11 Febbraio 1917 afferma: "Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare". Ancora una volta torna il tema della partecipazione attiva - il parteggiare - dell'individuo all'attività politica e sociale.

Possiamo cosi dedurre che l'individuo necessita di vivere all'interno di una comunità - polis in lingua greca - e che trova la propria completezza sociale oltreché nelle relazioni con gli altri individui anche e soprattutto attraverso la politica e la sua partecipazione alla gestione del bene pubblico.

Non è quindi un caso se sia nella società greca che in quella romana l'impegno politico per i cittadini maggiorenti oltreché essere un onore è anche visto come un dovere. Un dovere che permane anche in epoca imperiale con la sopravvivenza dei fori e dei Senati, non solo a Roma capitale storica dell'impero, ma anche nelle piccole città di provincia dove le aristocrazie locali partecipano alla vita politica e alla gestione del bene comune.
Con la caduta dell'Impero Romano questa tradizionale partecipazione politica viene meno - anche a causa di alcune dottrine religiose a mio avviso - e rinasce sporadicamente ma in modo significativo in alcune esperienze storiche: i comuni italiani e successivamente nella Svizzera cantonale.
Solo con la rivoluzione americana prima e quella francese poi, ritorna al centro della vita dell'individuo la sua socialità e quindi il suo impegno politico. Ritorna nel mondo moderno quel concetto tanto caro agli uomini del periodo classico. Con una differenza sostanziale: tutti coloro che abitano lo Stato sono cittadini - e non solo gli aristocratici. E' ormai aperta la strada al suffragio universale.

Ma le relazioni dirette che sono adattabili esclusivamente a contesti limitati, come le polis greche o i comuni italiani medievali, vengono però meno negli stati moderni, troppo estesi geograficamente e demograficamente per consentire la partecipazione diretta dell'individuo/cittadino alla gestione del bene pubblico. Per permettere questo nascono, nel mondo moderno - i primi partiti sono riconducibili alla seconda metà dell'ottocento - i partiti politici che riuniscono, sotto ideali e simboli, individui dal comune sentire politico e dalla pari visione di bene comune. Il confronto/scontro interno ed esterno ai partiti risponde e soddisfa la necessità di partecipazione politica che è propria del cittadino.

Ma proprio nel periodo in cui nasce la concezione di partecipazione universale dei cittadini alla gestione del bene comune, ad esso viene contrapposto, con la nascita di nuove teorie filosofiche ed economiche, il concetto dell'individualismo. L'uomo non si completa più  all'interno della propria comunitas, ma nella propria affermazione personale ed individuale. Viene quindi meno la buona gestione del bene pubblico. Tale concetto è ben espresso dalla locuzione latina "Homo hominis lupus" ripresa nel XVII secolo dal filosofo inglese Hobbes.
Se a livello filosofico la sua definizione trova compimento con Hobbes, sul piano economico dobbiamo aspettare la rivoluzione industriale e la nascita dei primi imprenditori. Siamo nella seconda metà del 1700, il capitalismo è ancora nello stato embrionale, crescerà fino a trovare la completa maturazione durante l'ottocento, non a caso proprio il periodo in cui nascono i primi partiti politici e una filosofia politica che riporta la collettività al centro della società. Cos'è il capitalismo se non la realizzazione, in campo economico e quindi sociale, dell'individuo rispetto al mercato? Ognuno gioca per se e i più deboli sono costretti a soccombere davanti alle leggi di natura/mercato, venendo cosi meno il rapporto sociale.

Il problema nasce quando il potere economico inizia a sovrastare il potere politico. L'individuo non ha più modo di sviluppare la propria socialità perché essa è annullata dal mercato. Lo stato si piega al volere dell'economia e il cittadino non viene più considerato come persona portatrice di diritti e doveri, ma solo come un consumatore il cui unico scopo è quello di far girare l'economia.
La portata distruttrice di questo nuovo modello si mostra in modo molto chiaro durante gli anni '80 del XX secolo. Fino ad allora, almeno in Europa, i grandi partiti socialdemocratici avevano posto un freno alla crisi dello stato sociale.
Negli anni '80 c'è l'affermazione del neoliberismo e la successiva crisi dei partiti di ispirazione socialdemocratica. Al termine del decennio l'Unione Sovietica punto di riferimento per molti partiti di sinistra in Europa e nel mondo vedrà crollare il suo sistema e di conseguenza la sua dottrina politico-economia. Il mondo assiste cosi all'affermazione di una sola potenza e del suo modello economico: gli Stati Uniti, patria del capitalismo.

I simboli di questo profondo cambiamento sono principalmente due: Margaret Tatcher e Ronald Reagan. I campioni del neoliberismo. L'individuo è al centro di tutto anche, e soprattutto, a discapito degli altri individui e quindi della collettività. Il bene comune è subordinato al bene individuale.
L'uomo è sempre meno sociale e sempre più lupo. La solidarietà tra individui riassunta nel concetto "chi più ha più dà" viene messa in discussione e la conseguenza altro non è che l'allargarsi della forbice tra le classi ricche e le classi povere - all'interno degli stessi paesi - e tra il nord e il sud del mondo. Non ha caso la forbice oggi, nel 2011, è molto più aperta che non durante gli anni '70.
Nel resto d'Europa l'ancora di salvezza, nei confronti di questo individualismo imperante, arriva ancora una volta dai partiti politici che nonostante la crisi ideologica ancora si fanno portatori di ideali che consentono ai cittadini di ritrovarsi e di tessere relazioni politiche.
In Italia tutto ciò viene meno. Negli anni '80 inizia la crisi dell'intero sistema politico che porterà appena un decennio dopo alla morte della prima repubblica e alla nascita di un nuovo modello di partito.
Il primo sintomo di questa crisi si ha con l'ascesa di Bettino Craxi alla guida del PSI - il più vecchio partito italiano. Il PSI, in crisi ormai da anni, lascia da parte gli ideali e si trasforma in un partito leaderistico. Strada che sarà poi percorsa, negli anni successivi, da tutti gli altri partiti che sopravvivono al cataclisma di tangentopoli. Solo il PCI e dei suoi diretti eredi (PDS->DS->PD) si salvano da questa svolta.

Gli ideali vengono lasciati da parte se non quasi ostracizzati e portati come esempio del male assoluto in politica. Le strutture che per cinquant'anni hanno permesso la partecipazione dei cittadini alla gestione del bene pubblico cadono e vengono rimpiazzate dalla figura dell'uomo solo al comando.
I partiti italiani non si differenziano più per ideali. Quando un cittadino decide di unirsi ad un partito, sa che il loro unico scopo non è più aggregare e coinvolgere persone attorno ad un ideale, ma quello di sostenere un leader che è tale non perché eletto dalla base, ma perché ha fondato o acquistato il partito.

L'essere sociale viene relegato a trovare il suo compimento in gruppi che non siano partiti politici e che di conseguenza non possono soddisfare la necessità di partecipazione politica. Incomincia a nascere il distacco dai partiti e dalla politica. Ma la necessità di partecipazione politica è intrinseca nell'essere umano, e ad una mancanza del sistema risponde la nascita di diversi movimenti che rifiutano la nomina di leader e che rimettono al centro il cittadino/individuo all'interno della socialità.

In un'ottica di critica totale al sistema, le critiche coinvolgono anche l'unico partito anomalo del panorama italiano.
Il Partito Democratico che è l'unico che non basa, e lega, la sua esistenza sulla presenza di leader, non riesce comunque a rispondere a quella richiesta di partecipazione politica. Questo perché mancano gli ideali di fondo, vero collante dei partiti della prima repubblica e del resto d'Europa.
E' riconducibile a ciò l'inevitabile creazione di correnti al proprio interno. La necessità di socialità politica, se non soddisfatta direttamente dal partito viene compiuta attraverso la creazione di sotto entità che si denotano per dare un collante tra i propri appartenenti.
Si innesca cosi un circolo vizioso: a causa dello scontro tra correnti che propugnano ideali diversi, il partito si mostra verso i cittadini con sempre meno autorità, oltreché ideali.

Cosi anche l'unico partito che potrebbe oggi rispondere alle necessità dei cittadini è impedito a far ciò per sua stessa natura. Un partito nato da un semplice calcolo matematico di opportunità politica senza una vera fisionomia o una piattaforma di ideali non può andare incontro alle richieste della società.

Preso atto di ciò e in un periodo in cui l'individualismo sociale ed economico ha raggiunto livelli mai visti prima, non può stupire come i giovani - che sono coloro che cercano di più la sicurezza e la partecipazione - volgano il proprio sguardo al passato alla ricerca di miti e di certezze.
Si crea cosi una generazione di nostalgici dei vecchi partiti politici. Nostalgici di un periodo nel quale la politica rispondeva, anche se a volte in maniera dogmatica, alle incertezze della società e dava l'occasione, o quantomeno l'illusione, di poter partecipare e di poter cambiare la società.

E' dovere della politica italiana rispondere in modo serio a questa necessità intrinseca dell'essere umano. L'unico modo per tornare a soddisfare questa richiesta è esclusivamente una rifondazione dell'intero sistema politico italiano, che non potrà che essere traumatico.

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