martedì 23 agosto 2011

Il nepotismo nell'università italiana

Ieri mi è capitato di leggere, sul blog di Laura Castelletti, un post in cui si la politica bresciana rimandava ad un articolo comparso di linkiesta.it. L'articolo illustra una ricerca svolta da Stefano Allesina ricercatore italiano presso l'Università di Chicago, uno dei tanti cervelli in fuga dall'Italia.
Allesina ha sviluppato un algoritmo che permette di verificare la presenza e la frequenza della ripetizione dei cognomi all'interno del sistema universitario nazionale e poi più approfonditamente all'interno di ogni singolo Ateneo.

Per effettuare tale ricerca lo studioso si è avvalso del database del Cineca che contiene i nominativi di oltre 61.000 docenti afferenti ad 84 sedi universitarie italiane. Non è mia intenzione entrare nel merito dei dati prodotti per due motivi: il primo è che è risaputo che in Italia è presente il nepotismo, il secondo è perché non reputo la ricerca attendibile, e spiegherò perché. Per chi volesse leggere i risultati della ricerca li può trovare qui.

Partiamo dalla definizione di nepotismo secondo l'Hoepli: Favoritismo verso parenti o amici da parte di chi ha un'autorità, un potere.

Risulta cosi chiaro come il nepotismo non è semplicemente far assumere il figlio o il nipote, ma è una pratica molto più complessa che va oltre le parentele.
Ma per il momento consideriamo come nepotismo solamente le raccomandazioni all'interno di vincoli parentali. Una ricerca che si limiti a misurare la frequenza di dati cognomi, non terrebbe conto di parentele disgiunte dal cognome, come per esempio le coppie marito e moglie, zio e nipote, madre e figlio giusto per fare qualche semplice esempio. Inoltre non si tiene conto come all'interno di stessi Atenei o del sistema nazionale possano essere presenti docenti con lo stesso cognome pur non essendo parenti. La facoltà di Ingegneria è un esempio in questo senso: sono infatti presenti due docenti con lo stesso cognome - Faglia - che non hanno alcuna parentela tra loro. Infine si da per scontato che il figlio di un docente sia necessariamente raccomandato e non possa invece possedere le capacità per esercitare tale professione. In questo senso appare chiaro come siano presenti diversi errori di valutazione all'interno della ricerca.

Di contro come già detto non si tiene conto del nepotismo che va oltre ai legami di parentela. In questo caso abbiamo una forte sottostima del fenomeno del nepotismo.
Infatti è sicuramente quest'ultimo tipo di nepotismo quello più diffuso non solo nell'università italiana. In America per esempio il nepotismo non solo è praticato, ma è anche l'unico modello per l'assunzione. In tal senso prende il nome di cooptazione.
Il docente, e più in generale la classe docente, si sente in diritto e in dovere di scegliersi i propri collaboratori. Collaboratori che solo in pochi casi sono parenti dei docenti, ma che nella maggior parte dei casi sono anche persone di valore che hanno lavorato con la docenza per un periodo di diversi anni.

Questa mentalità in Italia porta all'istituzione di concorsi pubblici truccati. Esistono vari modi per fare ciò è la sovravalutazione del candidato che si desidera assumere è forse la metodologia meno usata. Infatti solitamente i concorsi - che vengono banditi dagli stessi dipartimenti che devono assumere - sono solitamente calibrati sulla figura del candidato scelto in precedenza o nel caso di un profilo più largo si effettuano forme di mobbing nei confronti di altri possibili candidati. Solo in ultima istanza avviene la sopravvalutazione del candidato prescelto nei confronti di altri candidati più meritevoli.

Questo è un sistema cosi radicato nella mentalità accademica, che è ormai accettato quasi unanimemente dagli attori  della scena accademica.
Tale accettazione porta a non rare situazione dove docenti di un Ateneo influenzino le assunzioni e i concorsi di Atenei terzi, dove sono presenti docenti a loro legati. E' il cosiddetto rapporto allievo-maestro. Un rapporto cosi saldo che è in grado di influenzare scelte extra-ateneo, creando cosi fitti legami che intessono tutti il sistema nazionale.
Per questi motivi il metodo della cooptazione, che come tutte le metodologie ha degli aspetti positivi e degli aspetti negativi, viene ormai da tempo richiesto a gran voce da una gran moltitudine di soggetti, che chiedono che venga istituzionalizzata una metodologia ormai in uso.

E' proprio l'ufficialità che fa l'efficienza del procedimento. Negli USA dove questa è la pratica base per l'assunzione di nuovi docenti, coloro che concorrono alla scelta del candidato si assumono nel contempo una responsabilità dinnanzi alla comunità scientifica e dinnanzi ai finanziatori sulla validità del neoassunto. Le successive mancanze del candidato si ripercuoteranno in senso negativo anche sulla fama dei docenti tutor.
Al contrario in Italia dove ciò avviene dietro lo scudo di concorsi pubblici truccati la docenza si svincola da queste responsabilità, non pagando per eventuali errori di valutazione del candidato. Questa mancanza di responsabilità permette di assumere persone che non soddisfano i requisiti minimi per assumere determinati incarichi.

Proprio per questi motivi la ricerca svolta a mio modo di vedere non possiede una valenza statistica. Non tiene conto di molti fattori del panorama italiano. E' più o meno lo stesso errore fatto dalla ministra Gelmini con la modifica del sistema di assunzione della docenza con l'introduzione dell'abilitazione nazionale.
Tale assunzione si rende inutile proprio per i legami a livello nazionale prima espressi.

A mio parere il ministro avrebbe dovuto aver più coraggio e tentare di istituire ufficialmente la cooptazione anche in Italia. A ciò avrebbe dovuto affiancare una seria opera di valutazione dell'operato dei docenti con conseguenti sanzioni.
Ammettendo che non è il metodo più democratico possibile e riconoscendogli diverse problematiche, penso che solo attraverso l'istituzione della cooptazione e la contemporanea presa di responsabilità del mondo accademico, si può sperare di modificare un sistema ormai anchilosato

3 commenti:

  1. Interessante. Si può procedere come dici però partendo dall'inverso: prima il meccanismo di controllo e valutazione, e poi ...

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  2. Sicuramente è possibile effettuare un procedimento del genere. Il problema a mio avviso è che in tal caso continuerebbe la pratica del concorso "truccato", perchè il docente vorrebbe continuare a scegliere il proprio "assistente".
    Il difetto è che con tale prova di valutazione a pagare sarebbe l'intera facoltà od ateneo e non il diretto responsabile di tale scelta. In altre parole ci sarebbe una presa di coscienza, ma collettiva anziché individuale, con il risultato che coloro che sono cosi "potenti" da incidere sulla scelta del candidato, al contempo sono cosi potenti da indirizzare verso di essi i pochi fondi che rimarrebbero dopo le "punizioni" del ministero seguenti la valutazione

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  3. Ho letto anche io il post sul blog di Laura Castelletti e sono capitato qui.

    Se i ricercatori che "fuggono" all'estero fossero tutti come l'autore della ricerca dell'Università di Chicago ben presto i nostri studenti brillanti non troverebbero più lavoro all'estero per le cattive figure che i compatrioti ci fanno fare. Per fortuna non è così e gli studenti sfornati dalla "scarsa" università italiana trovano posti importanti anche all'estero!

    Battute a parte il grado di parentela non dimostra alcun "nepotismo" secondo la corretta definizione dell'Hoepli. Nel mio raggruppamento, per esempio, ci sono circa 50 fra docenti e ricercatori di cui 2 con il medesimo cognome (Rossi, guarda caso...) che non sono parenti ed altri veri parenti che, avendo cognomi diversi, sfuggono alla ricerca citata.

    La legge di riforme dell'Università (Legge Gelmini) introduce una norma (voluta dalle opposizioni) contro il nepotismo che è demenziale.

    Personalmente a 43 anni non ho prospettiva di carriera accademica per il semplice fatto di avere parenti (più giovani di me e capaci quanto me, se non più) nel medesimo ateneo.

    Come nella novella di Pirandello ("La patente") vorrei il brevetto di "Barone" per utilizzarlo, facendolo valere nei posti che contano in ambito accademico. La legge questa patente non me la da, al contrario mi impedisce solamente di continuare a lavorare nel mio ateneo aspirando a crescere di livello.
    Bella prospettiva!!!

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