mercoledì 30 novembre 2011

Autogol in casa ex DS

Alcune dichiarazioni di Aldo Rebecchi pubblicate da vari quotidiani nella giornata di ieri sanno molto di autogol politico.

Quando qualche tempo fa durante un confronto con alcuni docenti questi mi dissero che un docente che andava in pensione troppo presto sarebbe stata una perdita difficilmente sostituibile per la società accademica, risposi che a mio avviso il compito di un docente, oltreché insegnare e fare ricerca, è anche quello di creare e preparare i futuri ricercatori e docenti cosi da permettere un proseguo dell'attività scientifica senza grandi perdite anche nel momento del pensionamento del docente.

Reputo che lo stesso discorso sia applicabile anche alla sfera politica ed amministrativa. L'azione del politico e/o amministratore si valuta certamente nelle sue opere e nella sua gestione del bene pubblico, ma anche, e forse sopratutto nella preparazione di nuove leve che possano rappresentare la nuova classe dirigente e proseguire nel lavoro iniziato dal maestro.


Aldo Rebecchi nelle sue dichiarazioni ai giornali, oltre a parlare di primarie e del ruolo che dovrà avere il Partito Democratico nella corsa per la Loggia 2013, indica una serie di nomi di futuri - in là nel tempo - possibili candidati sindaco dopo l'esperienza di Emilio Delbono. I nomi fatti dal politico bresciano non sono certamente sconosciuti e godono di largo apprezzamento nel panorama politico italiano: Manzoni, Martinuz, Ungari, Bazoli, Muchetti.

Fatti i nomi è però utile capire quale sia la storia politica pregressa di queste cinque persone, non per uno sterile gioco di vecchie appartenenze, ma per capire dove sia l'autogol di Rebecchi.
Se osserviamo le storie dei nominati scopriamo che tutti e cinque hanno una storia politica che inizia all'interno della Margherita, addirittura nei popolari per i più vecchi. Abbiamo cosi che un esponente ex Ds - è stato parlamentare dal 1987 al 2001 rispettivamente con PCI, PDS, DS - certifica che l'attuale e futura classe dirigente cittadina è stata formata quasi interamente nelle fila dell'allora Margherita.

Dove sta il problema? Non certo nei nomi. Il problema sta nell'incapacità della vecchia classe dirigente Ds nel formare le nuove leve, e quindi gli attuali e futuri amministratori del città e del paese. Incapacità che già confermata nei fatti viene adesso solo certificata dalle parole di Rebecchi.
Un'uscita quindi che dovrebbe portare, anziché ad impartire lezioni politiche, ad un profondo mea culpa avendo fatto parte lui stesso della classe dirigente degli allora Democratici di Sinistra.
Un mea culpa che se deve partire da lui, non può limitarsi alla sua sola persona ma deve allargarsi a tutti coloro che con il proprio operato hanno lasciato un buco generazionale di rappresentanza politica nella sinistra cittadina.

Cosi ritornando alla considerazione iniziale, non possiamo che bocciare la vecchia classe dirigente Ds incapace di lanciare uno sguardo verso il futuro.

domenica 27 novembre 2011

Altro che porta, i buoi scappano per la mancanza di un recinto

Durante il convegno dei Cattolici bresciani del Partito Democratico il Sen. Galperti ha detto "no ad un partito con le porte girevoli".

Personalmente se fossi un dirigente del Partito Democratico prima di pensare alle porte penserei a costruire i muri portanti. In caso contrario c'è il rischio serio che i buoi anziché scappare ed entrare dalla porta girevole entrino ed escano grazie alla mancanza di un recinto.

L'incontro di ieri è stato significativo per capire dove si accinge, o dove vorrebbe accingersi, ad andare il Partito Democratico non solo bresciano.
Aldilà delle solite frasi di circostanza, quello che appare evidente dall'incontro agli Artigianelli è che lo scetticismo sulla direzione intrapresa dal Pd non è presente solamente a sinistra, ma è diffusa in tutte le sensibilità, anche tra i cattolici, quelli che da sempre sembrano i più convinti della scelta fatta nel 2007.

Il governo Monti, con il forte richiamo all'impegno attivo del Partito Democratico - impegno a questo punto non solo di opposizione -, sta facendo emergere le molte contraddizioni di un soggetto che ha sempre posticipato, fin dalla sua nascita, un confronto serio ed approfondito sui temi portanti dell'incontro tra due culture.
Un confronto mai affrontato che ha spinto nella giornata di ieri alcuni esponenti cattolici del Pd bresciano a dichiarare come alcuni temi - il testamenti biologico, la questione morale ed altri - non siano condivisi, e siano quindi elementi di rottura, all'interno del Partito Democratico. Temi questi che una forza progressista moderna ed europea non può permettersi di non affrontare nella loro interezza, e che sopratutto la base chiede di affrontare come ha dimostrato la buona percentuale di voti presi dal Sen. Marino durante l'ultimo congresso del Partito Democratico.
Un aut aut quindi da parte dell'ala destra che cerca di fermare alcuni dibattiti su temi caldi come quelli sopra detti. Per questo non dobbiamo stupirci di aver assistito nella giornata di ieri ad alcune dichiarazioni critiche e preoccupate anche da esponenti di primo piano della destra del partito (Peli e Manzoni su tutti) che azzardano anche alcune frasi dalle tinte fosche e piene di malumori sul loro non riconoscersi pienamente nella struttura e nei valori fondanti del Partito Democratico.

Se andiamo oltre ai malumori dei singoli possiamo però scorgere le grandi manovre dei cattolici del Partito Democratico. In questo periodo, in vista probabilmente di un congresso neanche da loro richiesto, si stanno attrezzando e stanno provando a mettere in piedi manovre di convergenza che possano lasciarsi dietro alcuni strascichi ereditati da alcune vecchie divergenze nell'allora Margherita.
Emblematico in questo senso incontrare anche esponenti del centro che in passato avevano preso strade diverse - Frati, Del Bono - dalla corrente principale.

E mentre i cattolici cercando prove di unità, dalla parte opposta gli ex Ds continuano ad azzannarsi tra di loro rievocando antiche rivalità non solo politiche.



venerdì 25 novembre 2011

Operazione Red Christmas: 2 anni dopo

Scorrendo la pagina web di Repubblica mi sono imbattuto per caso in un articolo che racconta di come una docente della Bicocca presti il proprio ufficio ad una studentessa - mussulmana - per permetterle di pregare non avendo ella altri luoghi a disposizione per espletare questa necessità spirituale.
Nel leggere ciò mi è venuta alla mente una iniziativa analoga che come Progetto Ingegneria e Studenti Per portammo avanti all'incirca due anni fa.
Era il periodo durante il quale la provincia bresciana era balzata agli onori della cronaca nazionale per alcuni provvedimenti razzisti e xenofobi di amministrazioni leghiste nella provincia. Il white Christmas di Coccaglio e l'ordinanza anti immigrati a Trenzano avevano riportato all'attenzione di tutti il serio problema di convivenza tra culture diverse ed in particolare l'arretratezza culturale di una certa destra italiana.
Cosi, consci che il l'università non è un mondo a parte ma si innesta all'interno della società, decidemmo di lanciare una nostra proposta/provocazione con il nome in codice di Red Christmas - per fare il verso alla famosa operazione coccagliese - invitando la stampa, bresciana e non, ad una conferenza stampa. E' inutile dire che all'epoca fummo snobbati da tutti i giornalisti, probabilmente troppo impegnati a scrivere di luci ed addobbi causa il Natale in avvicinamento.

Partivamo dal dato di fatto che molti studenti di fede non cattolica non avevano a disposizione alcun luogo di culto per poter espletare i propri obblighi di fede. La città, all'allora come adesso, non metteva a disposizione alcuna location raggiungibile per gli studenti stranieri. Proponemmo, anche se poi non se ne fece più nulla per l'opposizione dell'allora Rettore Preti, la creazione di due stanze multiconfessionali, una per il polo nord e l'altra per il polo sud. Nessun simbolo per includere tutti i simboli. Un luogo di incontro con la spiritualità personale nel pieno rispetto della spiritualità degli altri. Una stanza bianca, vuota di ogni cosa tranne che di alcune panche. Non una propaganda alla religione, ma un servizio che l'università avrebbe dovuto dare agli studenti per coprire una profonda mancanza della società.

Cosi ad un mese di distanza da quel giorno, condivido nuovamente con tutti il documento che Matteo Domenighini scrisse per conto delle due liste universitarie.

Le liste universitarie STUDENTI PER e PROGETTO INGEGNERIA sentono la necessità di intervenire per manifestare il proprio disagio per i recenti avvenimenti che hanno portato la nostra provincia di Brescia al centro dell’attenzione mediatica nazionale. Il riferimento è ai provvedimenti assunti da alcuni comuni del nostro territorio in materia di immigrazione e di integrazione culturale, ed in generale a quel clima di intolleranza che si fa sempre più avvertito e sempre più opprimente.
Non è nostra intenzione fare una polemica strumentale e fine a se stessa, ma introdurre nel nostro Ateneo una riflessione sul ruolo e sulla responsabilità che come istituzione esso deve esercitare nella società e nel territorio in cui è inserito. La scelta di assumere tale posizione di rilievo riteniamo non sia più rinviabile: è il tempo di decidere se accontentarsi di produrre solo semplici laureati o fare un passo avanti formando cittadini responsabili e civili.
Tanti e vari sono i fatti che ci sentiamo di denunciare in quanto assurdi, quando non abominevoli. Si parla di introdurre l’insegnamento del dialetto nelle scuole, mentre si cerca di internazionalizzare delle Università e mentre il 45% degli studenti universitari, secondo una recente ricerca, non padroneggia la lingua italiana.
Si parla di impedire ad una famiglia di seppellire un bambino in un cimitero, perché non battezzato, si parla di difendere la nostra religione da una presunta invasione e ci si dimentica il vero messaggio cristiano di solidarietà, accoglienza e rispetto reciproco.
In ultimo i fatti documentati nel servizio trasmesso nella puntata di giovedì 17 dicembre di AnnoZero. Si giustificano questi atti dicendo “chissà perché noi dobbiamo essere democratici mentre invece i loro paesi non sono democratici per niente”. E’ una risposta da Paese civile? Il nostro obiettivo è appiattirci verso il basso o, piuttosto, tendere ad una società più giusta?
Ancora più inquietante è sentire parlare i nostri coetanei, ossia il futuro della nostra società, di una democrazia solo per gli italiani, sentirli urlare slogan come “Italia agli italiani, fuori gli ebrei e gli africani”. È sempre più avvertito un clima di intolleranza, di sospetto, di volontà di prevaricazione e di affermazione di sé stessi non dimostrando le proprie capacità, ma isolando e combattendo gli altri, facilmente i più deboli.
Non ci si rende però conto che stiamo parlando di persone, di padri e madri, di bambini ed anche di quei tanti studenti che condividono con noi ogni giorno la vita universitaria, da cui ci distingue solo il luogo di nascita, ma che come noi passano le stesse giornate sui libri a studiare, in aula a seguire lezione, che hanno le stesse angosce pre­esame, gli stessi sogni di laurearsi.
La nostra Università, proprio in questo senso, è lo specchio del nostro territorio, raccoglie la stessa varietà etnica, culturale e religiosa, ospitando infatti un gran numero di studenti stranieri, che provengono da Paesi dell’Est Europa, dall’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente e dell’Asia.
Proprio da questo luogo che per tutti e da sempre è il luogo di cultura per eccellenza, quindi, deve partire un esempio forte di convivenza, tolleranza, rispetto reciproco e parità di diritti tra tutte le etnie.
Sottolineiamo comunque che finora nessun atto di intolleranza o discriminazione si è mai verificato o è stato denunciato; anche se qualcuno cerca anche qui di inserire questo clima discriminatorio, come la lista che durante la scorsa campagna elettorale universitaria proponeva di assegnare preferibilmente gli alloggi universitari agli studenti originari della nostra zona.
Riteniamo però che in questo momento sia fondamentale rendere visibile a tutta la nostra società questo modello; non significa sostenere un partito o l’altro, una religione o l’altra, significa dire: “Guardateci, una convivenza pacifica e tollerante è possibile”.
La proposta che presentiamo oggi, e prossimamente proporremo negli organi accademici, si inserisce nel solco di questo sentiero virtuoso.
Crediamo che convivenza pacifica fra le varie culture e religioni non significhi annullamento di ognuna di esse, ma che ognuna deve avere il suo spazio per poter essere “vissuta” rispettando le altre.
Proponiamo, quindi, che vengano individuati nel nostro Ateneo due luoghi, uno per il Polo Ingegneria­Medicina ed uno per il Polo Giurisprudenza­Economia, in cui ogni studente può avere un momento personale di preghiera o riflessione. Si tratta di aule multiconfessionali in cui non sia presente alcun simbolo religioso, ma in cui ogni religione abbia il suo spazio, che è delimitato dal rispetto per gli altri che ne vogliono usufruire.
Inoltre sarebbe questo un luogo particolarmente utile per gli studenti fuori­sede degli alloggi universitari, i quali possono così avere uno spazio anche per questi momenti personali.
Sarebbe uno straordinario esempio di possibilità di incontro, che dallo stretto ambito universitario si espanda a tutto il territorio grazie agli studenti, elementi essenziali della società, che traducano ciò in comportamenti e atteggiamenti quotidiani a casa, con gli amici e in tutte le attività extra­ universitarie.

Avanza la schizofrenia?

Che il Partito Democratico abbia un so che di problematico se ne sono accorti tutti, dentro e fuori l'organizzazione, eppure si continua imperterriti nel voler aggiungere problemi ad altri problemi e cercare di farsi male a tutti i costi.
Non posso che leggere questo intento nella richiesta di un congresso da parte di esponenti di tutte le correnti, che, anziché preoccuparsi di analizzare in modo serio e senza preconcetti (da una parte e dall'altra) le proposte del governo Monti, pensano a come eliminare politicamente la fazione avversaria facendo leva su una richiesta di chiarimenti dettato dal nuovo impegno che il Partito Democratico ha nella maggioranza tecnica di supporto.
Per fortuna che il Partito doveva essere inclusivo. Cosi inclusivo che si chiedono le dimissioni di un membro della segreteria non per incapacità o nullafacenza, ma, perché la pensa in modo differente, e lo palesa, rispetto il richiedente le dimissioni. Poco o nulla importa se la linea votata dai delegati nel Partito sia quella del membro di segreteria.

Sotto questo aspetto non ci sarebbero dubbi nel dire che quella che avanza è la schizofrenia e non certamente il buonsenso. Ed ulteriore prova di questa avanzata arriva dall'ultimo sondaggio della Demos che nella giornata di oggi pubblica i dati sulle interviste effettuate chiedendo quale sia il gradimento per le possibili future manovre del governo Monti. Cosi scopriamo che nonostante i famosi liberal del Partito Democratico compaiano praticamente su ogni testata giornalistica la base del Partito, almeno sui temi economici, guarda da tutt'altra parte.
 
I dati sono chiari. Nonostante una parte consistente della dirigenza del partito - compreso il senatore Ichino - continui a parlare di riforma del mercato del lavoro per rendere più semplici i licenziamenti, il 79,9% degli elettori del Pd sono contrari a questa tipologia di riforma. Contrarietà che, seppur in maniera inferiore, si conferma anche nel campo della riforma delle pensioni altro punto caldo di discussione all'interno del Pd. Una schizofrenia che si configura con i sintomi di uno sdoppiamento della personalità. Da una parte la base che guarda verso sinistra, dall'altra parte una dirigenza, o meglio una parte della dirigenza, che guarda verso il centro.
Ma allora perché arrivano a essere cosi fortemente considerati coloro che chiedono che il Pd porti avanti una linea economica liberista? In un partito democratico non dovrebbe essere a base a dettare e votare l'agenda politica dello stesso, e non l'ha forse fatto durante l'ultimo congresso quando è stato eletto a segretario Bersani? Non c'è da stupirsi. Come è avvenuto durante la prima Repubblica con i partiti di sinistra, una buona parte dell'opinione pubblica italiana spinge per una svolta neocentrista e liberista del più grande partito d'opposizione che viene cosi, risaltando a mezzo stampa le correnti centriste, descritto come desideroso di politiche nuove - sempre che il liberismo si possa considerare tale - e di lasciarsi dietro l'ala di estrazione socialdemocratica.
Come spiegare altrimenti l'improvviso feeling del Corriere della Sera, per non parlare del Foglio, con le correnti neoliberiste del Partito Democratico che con l'avvicinarsi della caduta del governo Berlusconi vedono una vera e propria escalation di presenze e di appoggi su questi, ed altri, quotidiani?  Oggi i media non si accontentano più di distorcere la verità. Essi la smontano pezzo per pezzo per poi rimontarla a proprio piacimento per dare una visione costruita a tavolino della realtà ed influenzare cosi le scelte dell'opinione pubblica. C'è chi si illude di aver sconfitto Berlusconi, ma cos'è tutto questo se non l'ennesima potenza del modello di egemonia culturale rivisto in chiave berlusconiana?

Partendo da queste considerazioni non si può che pensare che uno scenario peggiore non potrebbe esserci. Un partito politico che non solo non ha ancora trovato una propria collocazione nell'arco politico nazionale, ma che addirittura si fa imporre i temi e i tempi da parte di fantomatiche sensibilità che esistono solamente nei media amici.

Calo di iscrizioni all'università italiana


Il grafico mostra l'andamento in percentuale di nuove matricole in rapporto al numero di studenti diplomati rispetto l'anno scolastico precedente. Lo studio compiuto dall'Istat - il grafico è stato preso dal loro sito - analizza una serie storica che va dall'anno accademico 2002/03 per arrivare solo fino all'anno accademico 2008/09, non essendo disponibili all'atto della ricerca i dati degli ultimi A.A. Analizzando comunque i dati relativi agli ultimi anni possiamo vedere che c'è una consistente diminuzione di immatricolati che persiste anche negli ultimi anni non coperti dallo studio effettuato dall'Istat.

L'università italiana è sempre meno percepita come una tappa fondamentale per l'inserimento nel mondo del lavoro o come ascensore sociale.
Sempre più giovani italiani preferiscono direttamente l'immissione precaria nel mondo del lavoro, anziché investire dai 3 ai 5 anni nel mondo universitario. Questo perché per molti indirizzi di studio universitari la precarizzazione del lavoro post-laurea è ormai una realtà consolidata all'interno di un mondo del lavoro sclerotizzato ed incapace di riconoscere, e valorizzare, le capacità acquisite anche in campi non tecnici.
Capita cosi che gli studenti di percorsi di studio umanistico abbiano d'innanzi a se l'unica prospettiva dell'insegnamento, mentre in altri mercati - sotto questo punto di vista sicuramente più avanti di quello italiano - essi sono visti come una fondamentale e basilare risorsa intellettuale nella parte gestionale ed amministrativa delle aziende.

Inoltre se a ciò aggiungiamo che negli ultimi due anni l'università italiana è stata duramente attaccata dai media nazionali, per scandali veri o presunti, che ne hanno minato la credibilità giungiamo a comprendere il motivo per il quale molti studenti abbiano perso fiducia nell'istituzione universitaria.

Infine, sempre negli ultimi due anni, con il netto e quasi totale - 95% - taglio del fondo per il diritto allo studio si è esclusa un'ulteriore percentuale di studenti. Il ruolo di ascensore sociale, intrinseco nell'istituto universitario viene meno e coloro che non possono permettersi gli studi se non aiutati dallo Stato fanno venir meno la propria iscrizione.

lunedì 21 novembre 2011

Un'Italia senza democrazia? Per molti è possibile

In Italia esiste un problema Democrazia.
E non mi riferisco al nuovo governo Monti, come qualche malpensante potrebbe sostenere, che è in piena regola con quanto dettato dalla Costituzione, ma alla scarsa percezione, e fiducia, che gli italiani mostrano verso la forma di governo che da il potere al popolo.

Secondo una ricerca dell'istituto Demos dal titolo "Gli italiani e la democrazia" risulta che solo il  67.4% degli italiani ritengono la democrazia come "preferibile a qualsiasi altra forma di governo", mentre un 22.7% - quasi un cittadino su 4 - ritiene che non ci sia alcuna differenza tra un regime democratico e un regime autoritario.

Gli italiani sono ancora alla ricerca del leader carismatico e populista, dimenticando le esperienze del ventennio, non solo fascista. I numeri confermano questa mentalità che da sempre domina le menti del popolo italiano, già da quando ancora non erano un abitanti di un unico Stato.

Opinioni queste che se insiste nella filosofia dell'italiano medio, sono state rafforzate negli ultimi anni anche dalla profonda crisi del sistema politico italiano. Infatti come ci fa notare la seconda tabella la percentuale di coloro che preferisce la democrazia sopra ogni altra forma di governo va calando dal 2008 ad oggi (tra il 2001 e il 2008 c'è una leggera crescita a scapito delle altre due classi) con una flessione di circa 4 punti percentuali. Un calo leggermente più contenuto (-2.9%) anche per chi pensa che il regime autoritario possa essere una soluzione preferibile solo in alcune circostanze. Una buona percentuale di italiani si riversa quindi nell'ultima classe di italiani, quella che pensa che non ci sia alcuna differenza tra i due sistemi politici - +6,5%.
Una crescita netta dettata, come già detto, dalla crescente sfiducia nella classe politica italiana che di riflesso colpisce anche il sistema democratico.
Non è certo un caso che la sfiducia verso il sistema democratico cresca nel momento in cui la legge elettorale impedisce agli elettori di indicare le preferenze per i propri parlamentari, e a seguito del susseguirsi di scandali politici e giudiziari e di continui cambi di casacca da parte dei parlamentari.
La percezione che i politici una volta eletti facciano esclusivamente i loro interessi, porta, con una punta di populismo e demagogia alimentata a dovere, ad una sfiducia generale verso il sistema democratico non essendo in grado di distinguere tra sistema politico e politici. L'ultima tabella della ricerca è anch'essa significativa. Suddivide gli intervistati in base alle intenzioni di voto.

La tabella ci fa notare che, nonostante quanto si dica, gli elettori più affezionati alla democrazia siano coloro che dichiarano il proprio voto per Sinistra Ecologia e Libertà, seguiti - a 4 punti percentuali - da quelli dell'UdC. A solo 9 punti di distacco - comunque terzo partito - gli elettori del Partito Democratico, cui nonostante il nome ben il 16% degli elettori sono indifferenti al sistema di governo. Un campanello di allarme questo che dovrebbe indurre i dirigenti del partito ad una profonda analisi del proprio elettorato e a conseguenti misure per migliorare la percezione della politica presso di loro. Decisamente molto più grave invece la situazione nei partiti del centrodestra. Sia Lega Nord che il PdL superano di poco il 50%, mentre coloro che sono indifferenti superano il 30% degli elettori.

Infine, sempre parlando di problema democratico in Italia, riporto la tabella di un'altra ricerca condotta sempre da Demos dal titolo "Il governo Monti ha la fiducia degli italiani".
In una delle domande, si chiedeva agli intervistati, se in base alla sua idea di democrazia la scelta di formare il governo Monti era legittima o meno.
E' preoccupante notare come solo per il 22.5% degli intervistati - con elettori del Pd ed UdC, i partiti che più hanno sponsorizzato questo governo, che alzano sensibilmente la media - il governo Monti è legittimo, mentre invece ben il 65,8% degli intervistati ritiene il governo non legittimo ma giustificato solamente dalla grave crisi in cui versa lo Stato italiano.
Tralasciando il fatto che secondo la Costituzione questo Governo ha la stessa legittimità di quelli che l'hanno preceduto, avendo avuto questa legittimità direttamente dal parlamento, unico organo deputato a darla, torniamo sulla percezione di democrazia che ha il popolo italiano.
Ancora una volta il popolo italiano accetta una limitazione della democrazia - tale è se non considera il governo legittimo - a fronte di una situazione di emergenza.
Su questo piano il sistema politico, e quindi i partiti, tra cui in primis anche il Partito Democratico anche per la storia che si porta dietro, dovranno lavorare sodo per riportare tra il popolo italiano la convinzione che la democrazia sia un qualcosa di imprescindibile per qualsiasi paese libero.
Tale azione, dettata anche da quanto sopra esposto, non può che partire da un completo ricambio della classe dirigente italiana.

venerdì 18 novembre 2011

Il PTA contro la ristrutturazione dell'Ateneo

A proseguire le agitazioni in tutta Italia nell'ambito universitario non sono solamente gli studenti che chiedono un miglioramento del sistema del welfare studentesco.
Con la riforma Gelmini sono profondamente cambiati anche gli assetti amministrativi interni - giusto per citare quello più famoso, la scomparsa delle facoltà. A seguito di ciò l'amministrazione dell'ateneo bresciano, nella persona del Direttore Amministrativo, ha avviato una profonda ristrutturazione organizzativa che comporterà ricollocamenti e nuove mansioni per molti degli impieghi oggi a servizio presso l'Ateneo.
Ciò, unito alla scarsa condivisione del progetto e alla scarsa informazione dell'Ateneo presso i propri dipendenti, ha comportato la convocazione di un'assemblea del personale da parte delle RSU.

L'assemblea dopo un lungo confronto e con il parere contrario della componente della CGIL ha votato e pubblicato il seguente documento


MOZIONE APPROVATA DALL'ASSEMBLEA DEL PERSONALE T.A.

DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BRESCIA

del 18/11/2011

Premesso che il cambiamento organizzativo e lavorativo non può essere fonte di preoccupazione per chi come il PTA universitario, si è trovato a dover affrontare riforme continue, che si sono succedute negli ultimi quindici anni,

RITIENE

non sia accettabile subire un trattamento che ha come retropensiero una considerazione negativa del personale che discende direttamente dalla propaganda contro il pubblico impiego.

CHIEDE

- di cessare di applicare una riforma che ancora non può essere operativa,

- la sospensione del decreto unilaterale di riassetto organizzativo dell'Amministrazione centrale e la sospensione dei processi di accorpamento dei Dipartimenti, ed avvio di un contestuale confronto sugli obiettivi e sugli strumenti di un modello organizzativo che deve essere condiviso.

L'assemblea si riserva di intraprendere eventuali iniziative a difesa del personale Tecnico amministrativo.

Personalmente mi ritrovo nella linea espressa dai delegati CGIL. La riforma Gelmini è ormai legge e l'Ateneo cittadino necessita di ristrutturarsi per rispondere alle nuove regole e servizi. Questa intento dev'essere però compiuto con il fine di razionalizzare le spese e non tagliare i servizi o il personale, che ricordo, se confrontato con i corrispettivi delle altre università d'Italia sono i meno remunerati.
Al contempo bisogna riconoscere che l'amministrazione non è sempre stata tempestiva e chiara nelle comunicazioni al personale tecnico amministrativo. Problematica questa emersa anche durante l'ultima seduta del Senato Accademico, quando, discutendo della soppressione del CEDISU e dell'accorpamento del servizio bibliotecario, sia la delegata del PTA, la Dott.ssa Antonella Melito, sia i presidi Prof. Canziani e Prof. Belfanti hanno reso nota la scarsità di informazioni pervenute al personale amministrativo e la loro conseguente preoccupazione.
Se a ciò uniamo le sempre più insistenti voci, anche a mezzo stampa, di una prossima fusione con l'Università di Bergamo arriviamo a comprendere per quale motivo gli impiegati della Statale bresciana abbiano prodotto la mozione sopra pubblicata.

Ancora una volta come studenti ci auspichiamo che l'amministrazione e i dipendenti possano sedersi ad un tavolo e ragionare insieme circa la riorganizzazione amministrativa dell'Ateneo cittadino.

Di una scommessa vinta

Diamo a Cesare quel che è di Cesare.

Quando la vecchia amministrazione comunale ha avviato il progetto BiciMia ci aveva visto lungo. Un progetto ambizioso che ha permesso a Brescia di essere tra le prime città italiane ad avviare un progetto di Bike sharing. Un progetto che molti avevano battezzato come non autofinanziabile ed ambizioso.
Autofinanziabile non lo è, e probabilmente non lo diverrà mai, ma è giusto cosi. La politica dei primi 45 minuti d'uso gratuiti ha una sua logica, che si risolve nell'incentivare la popolazione all'utilizzo della bicicletta per i piccoli spostamenti. E su questo piano ci aiuta l'Europa che lo finanzia largamente attraverso i bandi per la mobilità sostenibile.

Anche definirlo ambizioso si è poi rivelato errato. A qualche anno di distanza il progetto non solo è ancora vivo, ma è in forte espansione con un sempre crescente numero di biciclette (400!) e di postazioni (siamo a 39, ma ne sono previste altre). Un progetto cosi apprezzato dalla popolazione che l'attuale amministrazione ha dato avvio alla seconda fase, quella dell'allargamento verso la periferia della città.

Parlo dell'attuale amministrazione perchè per onestà intellettuale bisogna rendere merito anche a chi ha proseguito nel lavoro impostato, e voluto, dai predecessori. Una dimostrazione questa che le idee non sono obbligatoriamente di destra o di sinistra, ma che alcune idee non possono che essere bipartisan.

Ma senza utenti qualunque progetto sarebbe destinato a fallire. E cosi non possiamo che rendere merito agli studenti universitari - la maggior fetta di utenza secondo i dati di Sintesi Brescia - che più di altri hanno creduto, anche attraverso le loro rappresentanze e Matteo Giacomini su tutti, nel progetto e nell'idea di una città caratterizzata dalla mobilità sostenibile.

domenica 13 novembre 2011

Brescia viaggia verso l'Inghilterra (università)

Già in passato avevo scritto circa il Campus universitario portando le mie sensazioni, ma sopratutto dati oggettivi che facessero capire cosa dovrebbe diventare in concreto questa nuova idea e i suoi costi.
Oltre a ciò, già all'epoca mi lamentai dello scarso coinvolgimento degli studenti e dei loro rappresentanti su questa tematica fondamentale per il rilancio di Brescia nell'ottica di città universitaria. Potete leggere gli altri post qui.

Per un lungo periodo l'argomento non ha poi trovato spazi sui vari giornali, fino a quando, oggi, non è apparsa su tutte le edizioni locali la cronaca della visita di una delegazione di amministratori e di universitari al Campus studentesco dell'Università di York. Università che come la cittadina che la ospita ha numeri molti simili alla realtà nostrana.

Leggendo i vari articoli scorgiamo come tutti coloro che si sono imbarcati in questo viaggio hanno elogiato in particolar modo il ruolo che il Campus di York ricopre nell'interconnessione tra il mondo accademico e il mondo del lavoro.
Commenti cosi entusiasti di questi aspetti da dare la sensazione che un Campus studentesco si risolva nella creazione di questi spazi di interconnessione.
Sedi di Spin-off, laboratori tecnici, luoghi di incontro tra imprenditori e studenti.
Tutte cose molto lodevoli e certamente fondamentali per far si che l'università italiana possa svecchiare il mondo produttivo bresciano e nazionale. Ci sono però alcune mie perplessità circa questi intenti che sono riassumibili sotto due aspetti principali.

Il primo aspetto riguarda proprio la parte dei servizi agli studenti. Essendo la parte abitativa già stata progettata, il viaggio si è concentrato sulla progettazione e gestione degli spazi comuni. Spazi che, come tutti hanno fatto notare, dovranno caratterizzare il campus in salsa bresciana.
Qui nascono le prime perplessità. Innanzitutto un campus, per definizione, dovrebbe essere un luogo vissuto principalmente dagli studenti e calibrato anche, se non soprattutto, sulle loro necessità. Stupisce dunque come si parli già della disposizione e della progettazione di questi spazi senza che ci sia sia mai stato qualcuno che ha richiesto agli studenti, attraverso i loro rappresentanti, quali siano le reali esigenze di cui necessitano risposta e quali risposte si aspettano da un campus universitario in pieno centro storico - è importante far notare come il Campus di York si trovi fuori dalla città. Questo atteggiamento ha portato alla situazione paradossale nella quale non si parla di una mensa per gli studenti del centro o di altre locazioni che possano soddisfare necessità primarie dello studente - aule studio, aule relax, biblioteche ecc... -, ma si parla esclusivamente di location atte al mondo del lavoro e al collegamento tra esso e gli atenei, come se l'università si completasse esclusivamente nel percorso post laurea della ricerca di un lavoro o della creazione di aziende - componente questa importante, ma la cui propedeuticità sta nel percorso di apprendimento.  
Per questo motivo ancora una volta come rappresentante degli studenti invito l'amministrazione comunale a confrontarsi con noi. Un confronto a cui non ci siamo mai sottratti e che nel passato, come ben sa la consigliera Ferrari, ha portato a proficui risultati sia per l'amministrazione sia per gli studenti.

Il secondo aspetto riguarda il mondo del lavoro e il collegamento tra esso e il mondo accademico. Sono certamente da lodare tutte le proposte messe in campo, ma, a mio parere, sono completamente inutili senza un cambiamento radicale del metodo di insegnamento del mondo universitario italiano.
Una location dove far esercitare gli studenti di Giurisprudenza all'attività forense, come proposto dalla stessa consigliera, è inutile se questo non è preceduto da lezioni più dinamiche da parte della docenza che insegnino agli studenti a far ciò. 
Il docente medio italiano tende ad essere molto legato alla mera nozionistica senza un aggancio all'applicazione reale degli insegnamenti erogati. Abbiamo cosi la maggioranza degli studenti, in particolare delle materie tecniche che sono poi quelli più coinvolti negli spin off, che usciti dal mondo universitario faticano a mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti perché privi di un collegamento tra quanto imparato e quanto dovranno applicare.
Uno scollamento tra mondo accademico e mondo del lavoro che è innanzitutto da imputare ad una mentalità rigida sulle modalità di insegnamento da parte di molti docenti, e solo in secondo luogo ad una mancanza di spazi d'incontro. 


Chiudo con un passaggio sui numeri richiamati dal Corriere della Sera. Il Campus di York è costato 178 milioni di sterline - di cui 150 di prestito a tasso del 2.5% per 60 anni. Un costo che si è riversato sugli studenti della stessa università che dall'anno prossimo troveranno la propria retta aumentata da 3200 a 9000 sterline l'anno.
L'amministrazione comunale per il momento sta ancora cercando soldi a destra e a manca. Spero che l'ultima spiaggia non sia quella di far pagare il tutto agli studenti universitari bresciani

venerdì 11 novembre 2011

Alla scuola padana non insegnano la matematica

Qualche giorno fa, con fare pomposo, il Movimento Studentesco Padano - sezione studentesca del Movimento Giovani Padani - è uscito su tutti i quotidiani della provincia - online e cartacei - celebrando l'elezione di ben 7 propri iscritti alla consulta provinciale degli studenti (CPS).

Continuando, facevano notare come questo grande risultato fosse stato conseguito prendendo la grande maggioranza dei voti dove eletti e che da questi sette avrebbero scelto un proprio candidato per la presidenza della CPS da proporre alle altre componenti presenti nella consulta.

Il primo passo, questo, per scalzare la predominanza di una certa sinistra estremista - cosi dichiaravano i giovani leghisti - dalle nostre scuole superiori e per riaffermare il diritto degli studenti padani ad avere una scuola di qualità che salvaguardasse i valori e le culture locali.

Eppure fino ad oggi erano al governo i loro genitori della Lega Nord. Gli stessi che hanno appoggiate le riforme e i tagli della Ministra Gelmini che hanno messo in ginocchio la scuola pubblica italiana.
Ma tralasciamo queste considerazioni meramente politiche e confrontiamoci invece sui numeri e di conseguenza su dei dati oggettivi difficilmente contestabili se non da chi si trovi in malafede.

La CPS è costituita da due studenti per ogni Istituto Superiore della provincia di Brescia. Prendendo i dati dal sito della provincia, elenco vecchio e mai aggiornato, risulta che le Scuole superiori in provincia siano quaranta - altri siti indicano numeri decisamente superiori, ma consideriamo tale numero in difetto.
Adesso con un semplice calcolo - 40x2 - vediamo che la consulta è costituita da 80 studenti eletti su tutta la provincia, e con un ulteriore semplice calcolo vediamo come la percentuale di eletti del MSP sia sotto il 10%. Un percentuale decisamente bassa per poter reclamare il presidente della CPS, e ancora più bassa per poter uscire su tutti i giornali e celebrare la grande vittoria della Lega nelle scuole bresciane.
Che sia forse che nelle fantomatiche scuole padane non insegnino la matematica, sostituendola con il dialetto? Per fortuna non siamo ancora arrivati a ciò, e la scuola italiana pone ancora le sue basi su l'insegnamento della matematica.

Ma allora perché tutto questo abbaiare a destra e a manca? Semplice strategia politica con un regista preciso. Fabio Rolfi.
Cito il vicesindaco del capoluogo non a caso.
Infatti i movimenti giovanili leghisti hanno ripreso vigore(??) da quando ha incominciato ad aleggiare la candidatura di Rolfi alla segreteria provinciale della Lega e si è rafforzata una volta che l'elezione è stata ufficializzata.

Ma perché proprio i giovani? Oltre ad avere dei debiti di riconoscenza verso questi movimenti - il vicesindaco si forma propri nei giovani universitari padani - essi sono quelli che più ricalcano lo stile iniziale della Lega Nord. Una forza di protesta con spiccata ricerca di tematiche forti come l'indipendenza, e che per forza di cose non possono più essere portate avanti con efficacia da coloro che si sono ormai corrotti con la famosa Roma ladrona. I giovani rappresentano la lega di piazza, Rolfi rappresenta la lega di Governo in grado di tirare le redini a questi aspiranti trota, cosa si può desiderare di più per lanciarsi politicamente?

Solo cosi si può spiegare il sorgere di iniziative in università, nelle scuole, banchetti di giovani per le vie cittadine e in provincia, quando negli anni precedenti l'iniziativa politica dei giovani leghisti era tendente allo 0.
Ma permane il problema della mancanza di risultati. Come nelle scuole superiori, anche nella rappresentanza universitaria i giovani leghisti sono ben lontani dall'ottenere risultati accettabili. 

Cosi in mancanza di veri risultati, li si sostituisce con una vera propaganda atta a far diventare importanti risultati insignificanti o a nascondere clamorosi fallimenti, dimostrando come Rolfi su tanti aspetti sia più leghista di Bossi.

martedì 8 novembre 2011

Berlusconi e i mercati. Solo gli idioti esultano

Si dimette o non si dimette?
È l'annosa domanda che tutti gli italiani si stanno facendo in questi momenti convulsi. E non solo gli italiani.
Anche il mercato finanziario globale sembra seguire con molta attenzione le evoluzioni della situazione politica del belpaese.
Appena qualcuno annuncia le dimissioni di Berlusconi c'è chi stappa uno spumante e chi fa salire le quotazioni delle varie borse. Viceversa appena arrivano le smentite qualcuno rimette il tappo alle bollicine e qualcun altro fa scendere nuovamente i titoli azionari e fa salire il famoso spread.

Una situazione, questa, che dimostra molto bene come i mercati nutrano scarsa fiducia nel Governo italiane nel suo presidente Silvio Berlusconi.
E ad ogni ennesima dimostrazione di ciò, una marea di allocchi - uso apposta un eufemismo - esulta come se lo stesso Padreterno avesse dimostrato come Berlusconi non sia degno di guidare il paese.
Chiariamoci, anch'io sono del parere, e non da adesso, che Berlusconi sia una persona non solo incapace, ma anche in palese malafede.

Il vero problema però è che i mercati finanziari, per nostra fortuna, non sono Dio. Però sono costituiti da uomini che con le loro singole decisioni possono mettere in ginocchio un intero paese, e su questo ci si avvicinano molto al ruolo di Dio.

Oggi qualcuno esulta perché chi è preso di mira è Silvio Berlusconi.
Ma non fermiamoci a questo singolo caso. Poniamo il caso che un un domani, non per forza in Italia, salisse al potere un partito - o una coalizione di partiti - di sinistra o di centrosinistra pronto ad attuare misure restrittive nei confronti della finanzia speculativa mondiale.
In poco tempo questo governo, pur democraticamente eletto, potrebbe essere messo tranquillamente in ginocchio da un attacco speculativo da parte di quegli stessi mercati che oggi condannano Berlusconi.
Dobbiamo renderci conto che oggi la politica ha abdicato lasciando il potere nelle mani dei grandi speculatori internazionali. 
Quello che in queste ore ci stanno dimostrando i mercati, è che essi hanno nelle proprie mani il potere di far fallire qualunque paese e di far cadere qualunque coalizione indipendentemente dai numeri politici che essa possegga.

E' la sovversione della democrazia. Ci sarebbe da piangere, altro che esultare.

venerdì 4 novembre 2011

3 anni fa nasceva un nuovo mondo?

04.11.2008
Nuovo Mondo

Così titolava il quotidiano L'Unità nell'edizione del 6 Novembre 2008. Il giorno prima Barack Obama veniva proclamato vincitore delle presidenziali Usa svoltesi il 4 Novembre di quell'anno. 
Sullo sfondo del titolo la vista che poteva avere un ipotetico viaggiatore interplanetario dal suolo lunare. Un pianeta azzurro usciva dalle tenebre del buio siderale.
Una frase e un'immagine forte a simboleggiare un evento importante: per la prima volta nella storia degli Stati Uniti d'America un uomo di colore veniva eletto Presidente.
Prima pagina de L'unità del 6-11-08
Un evento non solo americano. Al contrario. Non fu solo la vittoria di quel gran sognatore che fu Martin Luther King e dei suoi seguaci, ma fu la vittoria di tutto un mondo. Quelle di quel 4 Novembre del 2008 furono probabilmente le elezioni più attese e seguite della storia mondiale.
Barack Obama, l'avvocato dei poveri di Chicago, figlio di un padre africano e madre americana bianca era diventato un'icona. Questo senatore dell'Illinois aveva battuto tutti con la sua immagine proropente e il suo slogan semplice ed efficace: Yes, we can. Chi di noi non l'ha mai ripetuto anche una sola volta da quel giorno? Chi all'interno della sinistra italiana ed internazionale non ha avuto un sussulto al cuore nel momento in cui apprendeva il risultato delle elezioni statunitensi?

Quel senatore nero dell'Illinois rappresentava per molti la rivincita degli oppressi sul sistema, la vittoria di un nuovo modello di intendere i rapporti sociali.
Si apriva una speranza, perché quell'uomo raffigurava la speranza. Per un attimo tutti gli abitanti della terra si fermarono, e credettero davvero nella possibilità di un mondo più giusto e senza guerre. Non a caso nemmeno un anno dopo quel 4 Novembre l'Accademia di Svezia consegnava al Presidente americano il Premio Nobel per la pace. 

«Solo assai raramente qualcuno è riuscito come Obama a catturare l'attenzione del mondo e a dare una speranza per un futuro migliore».

Cosi recitava una parte della motivazione per l'assegnazione del premio. Ancora una volta si ripeteva la parola "Speranza" (hope in inglese).
"La speranza è un sogno fatto da svegli" diceva Aristotele.

Ma cosa rimane di quel sogno?
Dopo poco meno di tre anni di presidenza - è entrato in carica il 20 Gennaio 2009 - quella illusione è ormai scomparsa. Barack Obama, il primo presidente afroamericano non è più l'uomo che ha fatto sognare il mondo.
E' stato tutto come un grande amore. Uno di quegli amori per il quale sei pronto a dare tutto e che quando finisce ti lascia distrutto, portandoti quasi ad odiare quello stesso amore che tanto ti ha dato.
E cosi è stato anche il rapporto tra Obama e i cittadini di tutto il mondo. Troppe speranze, troppe illusioni furono riposte sulle spalle di un uomo. Barack Obama pur incarnando l'icona del cambiamento rimaneva e rimane pur sempre un uomo. Le sue spalle hanno ceduto alle grandi pressioni, e alle grandi speranze provenienti da tutto il mondo.
Il grande amore si è spezzato e con esso sono cresciuti i grandi risentimenti, ma direi soprattutto la delusione, verso questo presidente degli Stati Uniti d'America.

Gli va dato atto di averci provato. Sarebbe disonesto affermare il contrario. Ha provato a cambiare il modello di vivere americano. Ha provato a dare ai poveri gli stessi diritti dei ricchi. Ha provato ad effettuare una diplomazia internazionale più sensibile e moderata e meno americano centrica.
Ma dopotutto rimane pur sempre il Presidente degli Stati Uniti d'America. La mentalità di una nazione ha infine vinto contro la speranza di un mondo.
Prima pagina de L'Unità del 05-11-08
E cosi dopo tre anni a rileggere quel titolo si nota un sorriso amaro. Un nuovo mondo? Forse si. Un mondo sull'orlo del collasso economico, dove nascono nuove guerre mentre le vecchie persistono. Un mondo dove le disparità sociali non solo non sono state bloccate, ma continuano ad essere sempre più accentuate tra nord e sud del mondo e tra classi sociali all'interno dei singoli paesi. Un mondo dove la finanza domina sui bisogni primari delle popolazioni.
Un mondo nuovo, sicuramente non quello sperato da miliardi di esseri umani all'indomani dell'elezione dell'avvocato dei poveri di Chicago.

Il merito ad Obama di averci fatto sperare.



"Dobbiamo accettare la delusione che è limitata, ma non dobbiamo mai perdere l'infinita speranza." Martin Luter King 

martedì 1 novembre 2011

Precisazioni sull'articolo del BresciaOggi

«Giovane a chi?», dal blog la replica «bersaniana»
 martedì 01 novembre 2011 CRONACA, pagina 8


A colpi di blog. Apre Pierangelo Ferrari, parlamentare Pd, risponde Andrea Curcio, militante del partito, bersaniano affiliato al Cipec, studioso e attento lettore di Berlinguer e Gramsci, ma soprattutto componente del senato accademico dell´Università di Brescia.
FERRARI ha aperto nei giorni scorsi alle istanze sul ricambio generazionale dei trentenni Del Barba - Orlando - Scalvenzi: «L´immagine del Pd - ha scritto - è tuttora una foto di gruppo di fine Novecento. I giovani che hanno sensibilità politica stanno altrove: nei centri sociali, nelle associazioni parrocchiali e ambientaliste, nella frustrazione dell´astensionismo». Una frase che, se voleva essere provocatoria, ha trovato in Curcio un reattivo interlocutore: «Nel Partito Democratico, e nella sua giovanile, sono presenti tanti giovani validi e con una forte sensibilità politica - ha scritto a sua volta l´attivista universitario sul suo blog personale bresciaacolori.it -. Giovani che spesso si impegnano anche più dei propri coetanei degli ambienti citati da Ferrari, subendo al contempo anche l´umiliazione delle continue pacche sulle spalle da parte dei Dinosauri - di cui Ferrari sicuramente sa di far parte - che non mancano di ricordarti che devi sempre e comunque rimanere al tuo posto».
In sostanza uno scontro sul giovanilismo al contrario. Con il parlamentare che apre ed il giovane che chiude. E lo stesso Curcio che qualche ora dopo precisa sempre sul blog. Per lui quella di Ferrari «è una visione neogiovanilista - renziana ed in parte di alcuni civatiani - che considera giovani e nuovi solo coloro che sono disposti ad alzare la voce e a buttare via tutto, dagli ideali ai predecessori, senza fare alcuna distinzione, quasi che fossero un fardello troppo pesante con cui confrontarsi, e da cui si ha paura di uscir sconfitti».
UNA PRECISAZIONE, quella di Curcio, cui hanno fatto seguito due brani di Gramsci e che al di là delle ragioni o dei torti di parte è riuscita certamente a mostrare che ridurre il rinnovamento di un partito ad una questione generazionale può essere segregante e limitativo per gli stessi beneficiari del ricambio.

 -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Fa sempre piacere quando si viene citati sulla carta stampata. Ancor di più se nel farlo si viene accostati a personaggi di primo piano del partito democratico e del panorama politico bresciano.
Ma a questo punto penso che sia necessaria qualche precisazione circa quanto scritto sul BresciaOggi. Innanzitutto non sono un bersaniano, chi mi conosce sa bene che appoggio da sempre Marino come leader del Pd per i suoi temi etici. Qualcuno poi mi definisce addirittura corsiniano senza che io, a differenza di tanti altri giovani, abbia mai rivolto parola a Paolo Corsini piuttosto che Bragaglio piuttosto che Ferrari e cosi via.
Personalmente rivendico, e non ne ho mai fatto mistero, una mia cultura e sensibilità spiccatamente di sinistra, e al contempo rivendico, come fanno quelli di altre sensibilità, il mio diritto a svolgere la mia attività politica nel Partito Democratico. Dopotutto non è forse il Pd un partito inclusivo? Ciò, insieme ad un percorso personale, mi ha portato ad aderire al Cipec del quale condivido alcune visioni e altre no, e chi mi conosce lo sa. Comprendo che per qualche notabile sia difficile da comprendere abituati come sono con le marionette, ma rivendico la mia autonomia di pensiero.  Non per questo rinnego questa esperienza o il percorso comune che bisognerà fare tutti insieme per governare questo paese. Per questi motivi reputo non esatto classificare la mia risposta come bersaniana e del cipec. Classifico la mia risposta come quella di un giovane che si impegna e si confronta all'interno del Partito Democratico come fanno molti altri con le proprie idee e le proprie prese di posizione.
Un giovane che ha vissuto le parole di Ferrari come un attacco ingiustificato ai molti coetanei che partecipano alla vita del partito e nel contempo ha apprezzato alcune prese di posizione dello stesso onorevole sull'apertura ai giovani. Con le mie parole ho cercato di difendere , e di rendere merito a tutti i giovani, indipendentemente dai loro ideali politici, che militano all'interno del Partito Democratico. Nulla di più nulla di meno.
Se poi si vorrà classificare il mio pensiero, e soprattutto classificare la mia persona, in termini di correnti e sensibilità, sarà una classificazione di altri, non certamente mia.
Infine classificarmi come giovane che vuole la chiusura nei confronti dei giovani è quantomeno assurdo. E' assurdo classificare in tal modo proprio colui che dal suo blog ha lanciato una sfida a tutti i giovani del centrosinistra bresciano - partiti ed associazioni - per la creazione di un tavolo di confronto politico per la stesura di un'idea comune di come dovrebbe essere una città per i giovani.
Per chi volesse davvero sapere qual è stata la mia risposta può leggerla qui

Cos'è l'uguaglianza?

Uno dei concetti più celebri della kermesse della Leopolda è stato quella sulla nuova visione di uguaglianza che Renzi ha dato mettendola in contrapposizione al concetto espresso, secondo molti, da parte dei sindacati.

Una differenza sostanziale intercorre tra "Uguaglianza è arrivare tutti allo stesso punto" e "Uguaglianza è partire tutti dallo stesso punto", il primo di matrice sindacalista, il secondo di matrice renziana.
Nonostante Renzi abbia tenuto a precisare che la sua visione di uguaglianza sia fortemente incentrata sulla meritocrazia, sono entrambe agli estremi ed entrambe senza alcun riconoscimento del merito, o come amano definirla adesso meritocrazia,

La meritocrazia - dalla fusione tra merito e κράτος (cràtos): potere - presuppone che a guidare un paese e le sue istituzioni, e quindi anche il potere economico, siano coloro che si siano dimostrati meritevoli di ciò, indipendentemente dalla propria classe sociale di provenienza. Questo concetto prevede quindi un ascensore sociale a doppia carreggiata: si deve poter salite, ma si deve poter anche scendere.
Un concetto che in sintesi si può esprimere attraverso la frase "Uguaglianza è avere tutti le stesse possibilità". Dove con possibilità non si intendono le possibilità minime, ma un vincolo stretto che si deve intendere anche come possibilità massime, indipendentemente dalla propria condizione sociale.
La funzione di selezione per merito non deve valere solo per il povero, ma anche per il ricco.

Giusto per fare una metafora nell'ambito sportivo, prendiamo ad esempio una maratona. Chi come me ha provato questa esperienza sa che in quella sfida - soprattutto con se stessi - si parte tutti dallo stesso punto di partenza. Poi ogni tot. chilometri è presente un punto di ristoro che offre le stesse possibilità di ristoro indipendentemente che tu sia il primo o che tu sia l'ultimo della corsa. Punti ben fermi nei quali hai la possibilità di accedere solamente se la tua preparazione fisica (il merito) ti permette di raggiungere questo punto ristoro (le possibilità offerte). Qui però entra in gioco quello che si definiscono le diverse possibilità dei singoli. Se uno ha la possibilità (economica) di poter avere tra un punto di ristoro ed un altro aiuti fisici (integratori supplementari portati da casa o nel caso peggiore doping) in un certo qual senso imbroglia e falsa il sistema e sopravanza chi ha la sua stessa preparazione (merito) se non addirittura chi ha una preparazione migliore. La meritocrazia viene meno, perché coloro che probabilmente non avrebbero raggiunto la fine - o il prossimo punto di ristoro -, ma ricchi, lo raggiungono anche se non preparati a sufficienza, a dispetto di altri con la stessa preparazione che sono "costretti" a lasciare la competizione per mancanza di merito ma sopratutto di aiuti esterni.

Se si accettano questi aiuti esterni e al contempo si accetta che tutti abbiano le stesse possibilità, è necessario accettare che tutti vengano aiutati indipendentemente dal merito e rendere cosi possibile a tutti raggiungere i traguardo. Ricadiamo cosi nella visione che da molti viene definita sindacalista. Se invece accetti la situazione precedente, senza considerare l'uguaglianza delle possibilità, accetti la visione del tutti partono dallo stesso punto di partenza ma poi ognuno corre con le proprie regole. Cadi nella visione renziana o quantomeno nella semplificazione renziana che non funziona certamente come un ascensore sociale in entrambe le direzioni come invece si prefigge la meritocrazia. Si è cosi dimostrato in entrambi i casi la non sussistenza della meritocrazia.

Un esempio ancora più esplicativo, e attinente alla realtà, è quello dell'istruzione universitaria.
Nella costituzione italiana è enunciato che i capaci ed i meritevoli anche privi di mezzi hanno diritto di raggiungere le più alte vette del sapere.
Abbiamo a questo punto una fondamentale obiezione. Il figlio del povero se non capace e meritevole non potrà accedere alle più alte vette, al contrario il figlio del ricco avrà queste possibilità indipendentemente dal proprio merito negli studi.
Non a caso la mobilità sociale nel belpaese è una delle più basse a livello mondiale. Non solo perché il figlio del povero non sale di classe sociale, ma anche perché il figlio del ricco in nessun caso scenderà di classe sociale.
L'unica via da seguire è quindi oltreché uno stesso punto di partenza, la definizione anche delle stesse possibilità massime per evitare disuguaglianze nel sistema dettate dalla diversa provenienza sociale di chi corre. Ma sorge il problema di chi resta indietro, di chi secondo una nuova visione evoluzionistica non è degno di far parte di una società perché non meritevole.

Analisi questa che non viene ancora una volta affrontata da una certa politica - quella urlata - che si appropria di termini e di concetti alti usandoli esclusivamente come slogan senza in realtà approfondire nel merito la questione.
Una politica che in conclusione non tiene conto dei bisogni minimi delle persone - dove chi non è degno resta indietro come un relitto della società - e soprattutto delle loro aspirazioni individuali, indipendentemente dal reddito e dal merito.

L'uguaglianza non è una corsa con partenza e arrivo, l'uguaglianza come detto da Pietro Nenni è: "...portare avanti tutti quelli che sono nati indietro".