venerdì 23 settembre 2011

Il nuovo Ulivo a Brescia

Due giorni fa sul BresciaOggi usciva un articolo in cui si illustravano le prospettive per un Nuovo Ulivo a livello nazionale e locale, seppur con il vecchio Ulivo le considerazioni fatte hanno poco a che fare.
Ma tralasciando se sia il caso o meno di accostare le nuove alleanze con il vecchio Ulivo, vorrei partire dal presupposto che a mio parere è completamente errato mischiare due livelli cosi diversi come quello amministrativo-locale e quello politico-nazionale. Nonostante ciò, restano comunque come dato di fatto le varie posizione espresse dai politici locali, tra cui spiccano il consigliere regionale Girelli e i due deputati ex DS Corsini e Ferrari.

Come si usa dire, penso che anche in questo caso i protagonisti stiano guardando il dito anziché alla luna.
Dico questo partendo dalla riflessione che ci impone la linea che Enrico Berlinguer fissava già negli anni '70. Per il segretario del Partito Comunista, per governare non bastava il 50% + 1 dei voti, ma era necessaria una larga intesa che consentisse un'ampia convergenza sui temi e sulle riforme. In particolare Berlinguer identificava questa ampia convergenza con l'incontro delle tre grandi aree popolari: quella socialista, quella comunista e quella cattolica - che lui identificava nelle correnti di sinistra dell'allora DC.

Se vogliamo ragionare sul livello politico-nazionale quello che a mio avviso oggi i nostri politici sbagliano è che semplicemente si soffermano a guardare i partiti - il dito - anziché le masse popolari e il loro potere riformatore - la luna. La convergenza che veniva auspicata negli anni '70 ha oggi un nome che corrisponde a quello di Partito Democratico. Eppure ciò non basta. Non basta perché lungo la via, per errori di tutti, abbiamo lasciato per strada alcune parti di quelle tre grandi aree popolari, ed in particolare alcuni settori che ancora oggi si richiamano a quel grande patrimonio culturale che furono le ideologie socialiste e comuniste italiane. Ma dove possiamo ritrovare i nostri vecchi compagni di cammino? Certamente nell'IdV e in SeL, molto meno all'interno dell'UdC e ancor meno all'interno del Terzo Polo.
Ma questa parziale frammentazione delle aree popolari non può negare, o mettere in discussione, il ruolo egemonico che il Partito Democratico ha all'interno del centrosinistra italiano frutto di quella convergenza di masse popolari tanto auspicata da Berlinguer.
Il fattore che invece può mettere in discussione il ruolo egemonico del Partito Democratico è invece la mancata presa di coscienza di se stesso come centro gravitazionale attorno al quale convogliare gli altri partiti del centro sinistra italiano in un'ottica di un governo dal forte appoggio popolare. Il rincorrere alleanze forzate, per meri fini elettorali e non politici, con partiti che non fanno parte di un'area culturale propria delle tre grandi forze popolari, non può che far venir meno il riconoscimento del ruolo egemonico proprio del DNA del Partito Democratico - sia da parte degli elettori sia da parte degli stessi iscritti.
E' quindi necessaria una presa di coscienza del proprio ruolo che deve poi declinarsi certamente in un dialogo con coloro che hanno fino ad oggi condiviso con esso un percorso politico - più o meno travagliato -, ma non in un calarsi di pantaloni nei confronti di coloro che fossero interessati ad associarsi solo per un mero calcolo elettorale.
Penso che questo, a livello nazionale, sia il caso dell'UdC di Pierferdinando Casini.
Un rincorrere in continuazione il partito di Casini - come auspicato dalla famosa area lettiana - che poco ha in comune con l'area del centrosinistra italiano e che sopratutto più volte ha negato il confronto chiamandosi fuori da un percorso politico comune, non può che penalizzare il ruolo egemonico del Partito Democratico - il partito abdica al suo ruolo centrale cercando di rincorrere gli estremi esterni a cui conferisce un aspetto centrale - e di conseguenza la sua autorevolezza e la sua capacità di mediazione. Il venir meno di queste caratteristiche porterà inevitabilmente, all'interno di un'eventuale alleanza allargata, un comporsi di forze centrifughe che renderanno il governo debole ed instabile con rivendicazioni inconciliabili per la mancata forza mediatrice del Partito Democratico.
Infine un governo debole ed instabile - come l'ultimo governo Prodi - non può che far perdere ancor più credibilità al centrosinistra italiano in una vorticosa spirale che aprirebbe per l'ennesima volta il campo al centrodestra.
Ma allora quale dovrebbe essere il compito del Partito Democratico se desiderasse guardare la luna anziché il dito?
Innanzitutto non dovrebbe rincorrere gli altri partiti, ma parlare agli elettori. Dovrebbe quindi stendere una seria e credibile proposta elettorale per il dopo Berlusconi che vada oltre i soliti slogan anti-cav. Il Partito Democratico deve mostrarsi come credibile alternativa allo scempio attuale. Non deve cavalcare l'antipolitica - propria del centrodestra che vuole uniformare tutti e dei movimenti di protesta -, ma deve mostrare agli elettori che un'altra politica è possibile e che esso è portatore di quei sani valori che sono richiesti per governa un paese di oltre 60 milioni di cittadini. Ciò è possibile solo ripartendo, come già detto, da un serio programma politico al quale va affiancata la ripresa della questione morale lanciata proprio da Enrico Berlinguer negli anni '70. E' necessario un rilancio della superiorità morale del centrosinistra che non si declini solo a parole, ma anche con i fatti. Sono sicuro che facendo cosi, non solo le forze popolari del centrosinistra si ricompatterebbero attorno al Partito Democratico, ma anche che i partiti che fanno riferimento alla stessa area politica del PD ne riconoscerebbero il ruolo egemonico e costituirebbero una solida alleanza con lo stesso nella prospettiva, a mio avviso concreta, di poter governa il paese per un'intera legislatura con un programma politico ben definito.


Discusso del piano nazionale, se vogliamo proiettarci su quello locale è necessario invece formulare un'altra riflessione. A differenza del piano politico-nazionale, sul piano locale le forze civiche hanno una loro forza e sopratutto una loro dignità. Una dignità che deriva dalla spaccatura del piano ideologico al momento del voto che si ricompone, o almeno dovrebbe, in una convergenza sul nome dei candidati anziché sul simbolo di partito. E' un ragionamento questo che vale anche per città di media grandezza come Brescia. Per questo motivo in ambito locale non ha più senso parlare di una convergenza delle tre forze popolari, ma è necessario parlare di autorevolezza dei nomi e delle idee.
In questo ambito allora è auspicabile un confronto e una convergenza con le liste civiche bresciane - oltreché con i partiti nazionali -, in testa alle quali personalmente metto Brescia con Passione di Laura Castelletti e Officina della Città di Francesco Onofri. In tal caso possono valere le considerazioni fatte per il piano nazionale, ma la condivisione di linee programmatiche comuni - cosa molto più semplice da fare rispetto al piano nazionale - unito alla mancanza di tematiche ideologiche e alla autorevolezza del candidato sindaco, rendono il tutto molto più amalgamabile e meno soggetto a forze centrifughe.
Se a ciò uniamo la scelta del candidato sindaco attraverso l'istituto delle primarie - successivo alla stesura di una proposta politica di fondo - a cui partecipano, senza se e senza ma, tutti i partiti della coalizione, non possiamo che presentarci con una coalizione forte e vincente che ridarebbe a Brescia il giusto ruolo sul piano nazionale oltreché un'amministrazione degna di tale nome.
Non si può quindi che applaudire i segretari cittadino e provinciale - De Martin e Bisinella - che hanno costituito un tavolo di confronto per il centrosinistra bresciano che ha regole e basi di partenza ben chiare.
Come già detto sopra, se chiunque si siederà a questo tavolo saprà e accetterà regole chiare di convivenza politica, il centrosinistra bresciano non potrà che andare a vele spiegate verso le amministrative del 2013.


Resta infine la questione del nome che risulta indipendente dal piano sul quale si vuole ragionare. Come già detto sopra, il cosiddetto Nuovo Ulivo ha ben poco in comune con l'esperienza politica che ci ha accompagnati per 12 anni. Non penso che quella esperienza possa essere riproposta oggi perché i tempi, e sopratutto le forze politiche sono cambiate.
Troviamogli un qualunque altro nome, ma lasciamo riposare in pace una bella esperienza politica che ha dato, nel bene e nel male, i suoi frutti e portiamoci con la testa verso il futuro.

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