giovedì 19 maggio 2011

Sono tutti eticamente colpevoli

Nella giornata di lunedì si è tenuto il Senato Accademico dell'Università bresciana.
Come primo punto all'ordine del giorno era fissata l'approvazione del codice etico, necessario, secondo la nuova normativa, per poter assegnare gli incarichi didattici e per bandire ogni nuovo concorso.
Il Rettore Pecorelli durante la seduta ha proposto all'assemblea di adottare un codice etico snello, composto da pochissimi articoli tutti decisamente scarni ad eccezione di quello riguardante il nepotismo tema caldo di tutto l'autunno appena passato e punto di forza dei fautori della riforma Gelmini.


Durante la discussione, ho ritenuto necessario intervenire nel dibattito con un discorso certamente duro e poco conciliatorio, definendo il codice una mera mossa pubblicitaria senza alcun significato se non per i media e per il ministero.
Alla proposta del Rettore, contrapponevo la richiesta di approvazione del codice nella sua forma integrale.
Durante l'ultimo passaggio del mio intervento, a seguito della mia accusa a tutta la classe docente italiana di essere eticamente responsabile dello stato dell'università italiana, vedevo il mio microfono spento d'autorità e un coro d'indignazione alzarsi da buona parte dei docenti presenti, con conseguente presa di distanza da parte del Professor Pecorelli dalle mie parole e richiesta che le stesse fossero messe a verbale.
Ribadisco con forza l'accusa lanciata in quella sede, e mi assumo tutte le responsabilità di tali affermazioni come ho sempre fatto durante la mia carriera di rappresentante, ma vorrei soffermarmi sul significato dell'ultimo passaggio.

Partiamo dal presupposto che l'etica non è assimilabile alla giurisprudenza. Coloro che sono eticamente condannabili, non automaticamente sono perseguibili da un punto di vista giuridico.
Questo vuol dire che con la mia affermazione non ho mai accusato nessuno di aver commesso alcun reato secondo la normativa italiana.

Detto ciò, penso che sia innegabile che ogni professore almeno una volta nella vita abbia avuto qualche atteggiamento professionale non eticamente irreprensibile.
Quante volte i vari docenti hanno favorito i propri studenti nei vari concorsi? O quante volte i vari dipartimenti hanno bandito concorsi con requisiti ad hoc per far vincere una determinata persona?
Gli scandali che si sono susseguiti sui giornali ci dimostrano che è un atteggiamento diffuso, e soli pochi casi di nepotismo - che è il maggiore dei casi eticamente condannabili ma non il solo, ed è l'unico che trova spazio nelle cronache dei media - vengono alla luce, rivelandoci un background molto più vasto.
Con ciò non voglio certamente affermare che tutti i docenti pratichino questi metodi, ma è innegabile che ognuno di essi sia a conoscenza di questo modo di agire e pensare.
Eppure non abbiamo mai assistito a forti condanne, da parte del mondo accademico, di queste pratiche, che sono solamente le più evidenti di un modo classista ed egocentrico di concepire l'ingresso e la vita in università.
Si è colpevoli, eticamente parlando, non solo perpetrando tali atti, ma anche facendoli passare sotto silenzio, facendo finta ed accettando che essi possano essere il metodo standard per reclutare e promuovere le persone all'interno dell'Università italiana.


Concludendo questo mio post sull'etica all'interno dell'università, vorrei portare alla conoscenza di tutti una questione che negli anni passati ha toccato da vicino l'Università degli Studi di Brescia.
Fino all'anno accademico 2008/09, nell'università bresciana ha insegnato presso la facoltà di Economia il Prof. Giuseppe Provenzano. Il professore in questione viene coinvolto, nel 1989, prima dell'assunzione in un procedimento giudiziario a carico di Bernando Provenzano

"Emerge chiaramente che l'imputato era entrato in contatto con la Palazzolo attraverso il padre e che quest'ultimo doveva essere ben consapevole della provenienza illecita del denaro della Palazzolo, ovvero di Bernardo Provenzano [...] Giuseppe Provenzano è da ritenersi una sorta di consigliere della famiglia dei corleonesi [...] ma, non essendoci prove sufficienti della conoscenza da parte del Provenzano, della illiceità delle somme, si reputa conforme a giustizia prosciogliere l'imputato."
(Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione, sentenza ordinanza contro Cattaneo Renzo + 23, 23 novembre 1989)

poi nel Maggio del 2009 viene condannato dalla Corte di Cassazione per appropriazione, senza fare rendiconti, dei fondi destinati alla presidenza della regione Sicilia.
Eppure tale personaggio ha insegnato dal 1994 nella nostra università, per essere costretto alle dimissioni solo nel 2009 dopo forti pressioni effettuate da un gruppo di coraggiosi rappresentanti degli studenti. 
Nessun docente ha ritenuto opportuno supportare o quantomeno portare la propria solidarietà agli studenti.

Siamo ancora cosi sicuri che tutta la classe docente non sia eticamente responsabile dello stato in cui versa l'università italiana? 

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