martedì 3 maggio 2011

Della vita, della morte e di altre sciocchezze: intervista in odore di testamento biologico

Proprio in questi giorni, dopo il passaggio definitivo delle leggi salva Berlusconi alla camera, torna in voga nella scena politica italiana il testamento biologico e la libertà di scelta del cittadino di fronte alle cure mediche e relativo consenso informato.

Il governo Berlusconi, insieme alle opposizione di centro e centrodestra, sembra intenzionato a proporre una legislazione decisamente restrittiva sul tema, senza che le opposizioni di centro sinistra abbiano finora fatto alcuna forma di protesta o proposta alternativa.



Infatti l'anno scorso il vicesegretario del Partito Democratico Enrico Letta alla festa regionale della Lombardia, tenutasi a Desenzano del Garda in provincia di Brescia, disse che il maggior partito d'opposizione avrebbe lasciato libertà di scelta ai singoli deputati, non volendo obbligare nessuno a votare contro il proprio credo. Da allora è passata un sacco di acqua sotto i ponti, il governo è quasi caduto, si è parlato di alleanza, c'è stata un'assemblea programmatica, eppure su questo argomento nulla è stato deciso.
Nulla è stato deciso anche per non ferire la sensibilità cattolica presente nel paese (ma è davvero così?) e probabilmente per non rischiare di chiudersi delle porte in faccia su possibili future alleanze.
Un partito che si vuol definire progressista non può però ragionare in questi termini, ed è ora che all'interno dello stesso si dia avvio ad un serio confronto su queste tematiche.
Da parte mia, voglio contribuire con un'intervista alla Dott.ssa Simona Cacace ricercatrice di Diritto privato comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia, che da diversi anni si occupa del tema, partecipando anche a diversi convegni a livello nazionale e internazionale.
L'intervista pur trattando temi importanti vuol assumere un tono leggero, quasi più una chiacchierata con un'esperta che non un articolo scientifico.
Al seguente link, potete trovare il curriculum della Dott.ssa Cacace.



Dottoressa buongiorno. Com’è arrivata ad occuparsi di tali tematiche?
Posso affermare che la “colpa” è del mio periodo di dottorato presso la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa, dal quale ha visto la luce una tesi dal titolo Il consenso informato al trattamento medico: tutela dell’autodeterminazione individuale e responsabilità professionale. In particolare, si tratta del consenso informato che il paziente deve prestare alle cure mediche cui viene sottoposto, nonché del relativo dovere d’informazione gravante sul medico (e della conseguente sua, eventuale, responsabilità). D’altra parte, già nella stessa espressione informed consent – che antepone, com’è tipico della lingua inglese, l’aggettivo al sostantivo - è racchiuso tutto il significato dell’autodeterminazione individuale in materia sanitaria: l’informazione deve precedere il consenso. Ma il problema vero è come debba essere informato il paziente per esercitare un’effettiva libertà decisionale. Più volte la giurisprudenza italiana (e non solo) si è espressa su questo punto: naturalmente l’informazione deve essere resa dal personale sanitario … ma con quali modalità e soprattutto con quale linguaggio?

Si spera che il medico si rivolga al proprio paziente con un linguaggio semplice…
Certo, un linguaggio semplice… ma semplice rispetto a quale categoria di persona? Il problema è questo: esistono diverse tipologie di paziente e il personale sanitario dovrebbe avere il tempo e gli strumenti per comprendere il livello culturale ed intellettuale del malato che ha in cura, così adeguando, di conseguenza, il proprio linguaggio – nonché l’informazione che si appresta a fornire. Non sempre ciò accade, ma si tratta di un elemento fondamentale ai fini della costruzione di una vera e propria alleanza terapeutica medico-paziente. E ancora… cosa deve essere oggetto d’informazione? Per esempio: tutti i rischi legati ad un determinato trattamento sanitario, anche quelli a realizzazione eccezionale (ma magari gravi, gravissimi: di decesso, d’invalidità permanente), o solo quei rischi che si verificano secondo un criterio di “normalità” statistica?

Ma in Italia esiste una definizione giuridica su come debba essere fornita quest’informazione al paziente?
No, se per definizione giuridica intendiamo una definizione legislativa di informazione e di consenso informato in ambito sanitario. Esiste però il Codice deontologico dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri; senza del resto dimenticare l’art. 32 della nostra Carta costituzionale, secondo il quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari senza o contro la sua volontà. Tale principio generale (il requisito della volontarietà nella sottoposizione ad un trattamento sanitario) è certo temperato da alcune eccezioni (si pensi ai trattamenti sanitari obbligatori nel caso di patologie psichiatriche), le quali, però, devono essere sempre regolamentate per legge (e un decreto legge non è, giuridicamente parlando, una legge) e mai violare, comunque, i limiti imposti dalla dignità umana.

Veniamo alla vicenda di Eluana Englaro. C’è chi ha affermato, in contrapposizione alla decisione della Corte d’appello di Milano, che la volontà della giovane fosse solo supposta…Una legge sul testamento biologico avrebbe evitato le polemiche cui abbiamo assistito?
No. Il testamento biologico non c’entra nulla con la vicenda di Eluana Englaro. La volontà di Eluana non è stata espressa dall’interessata all’interno di un documento precedentemente redatto, bensì è stata ricostruita e presunta sulla base di numerose testimonianze di amici e parenti. In questo modo, una volta accertata altresì l’irreversibilità dello stato vegetativo e permanente, i giudici hanno consentito al tutore legale della paziente (il padre Beppino Englaro) di ottenere l’interruzione dell’alimentazione ed idratazione artificiali.

Anche attorno a quest’ultimo punto – alimentazione ed idratazione artificiali – ci sono state molte polemiche: c’è chi non le considera un trattamento sanitario ed esclude altresì che si possa parlare di accanimento terapeutico.
Esiste un parere del Comitato nazionale di Bioetica (L’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente , 30 settembre 2005) che esclude la natura di “cura medica” dell’ alimentazione ed idratazione artificiali. Per contro, le ultime pronunce giurisprudenziali sul caso Englaro si sono espresse in maniera diametralmente opposta: in materia non esiste, in campo giuridico e bioetico, un orientamento unanime. D’altra parte, la libertà personale è tutelata anche laddove non si verta in ambito sanitario. Certo non si può parlare di accanimento terapeutico: non si tratta, infatti, di interventi “sproporzionati”, dal momento che consentono la stessa sussistenza in vita della paziente. Ma questo poco importa: è noto come il paziente abbia sempre il diritto di rifiutare le cure, a prescindere dal fatto che queste possano (o meno) essere definite “accanimento terapeutico”.

Torniamo al testamento biologico.
Si tratta dell’espressione per iscritto della volontà dell’interessato riguardo all’eventuale esecuzione sulla sua persona di determinati trattamenti sanitari – e ciò in previsione di una ipotetica, futura sua incapacità d’intendere e di volere. Ed è questo il punto: il problema di una volontà solo eventuale, ovvero manifestata in un momento in cui per lo più l’individuo si trova in buone condizioni di salute, senza neppure sapere se mai necessiterà delle cure oggetto di disposizione anticipata. Altra è l’ipotesi, invece, del paziente affetto da patologie degenerative (Alzheimer, Parkinson, etc.) o del malato terminale, che ben conosce l’evoluzione prevista delle sue condizioni cliniche ed è così in grado di esprimere un consenso/dissenso informato nell’ambito di un rapporto già instaurato con il personale sanitario.
Da un punto di vista più strettamente giuridico, poi, se assimiliamo il testamento biologico a quello patrimoniale, è indispensabile la redazione in forma scritta dinanzi ad un notaio e a due testimoni, con la possibilità di modificare quanto espresso solo con un atto eguale e contrario. Una simile “pesantezza” formale condurrebbe a soluzioni difficilmente accettabili nell’ambito del rapporto medico-paziente: il personale sanitario, infatti, non dovrebbe ottemperare alla (nuova) volontà espressa a voce, magari in extremis, dal malato, solo perché inidonea a modificare quanto scritto nel testamento…

Al riguardo, sappiamo che Youtube registra l’incredibile diffusione di filmati amatoriali, ove gli autori esprimono una sorta di testamento biologico digitale. Che validità hanno da un punto di vista giuridico tali manifestazioni di volontà?
Secondo il codice deontologico del dicembre 2006, il medico deve tener conto delle volontà precedentemente espresse dal paziente. Si tratta di un verbo che non esprime alcuna vincolatività; la regola generale, infatti, in assenza di una legislazione in materia di testamento biologico, è quella del perseguimento del best interest del paziente incapace d’intendere e di volere, anche in contrapposizione alla diversa volontà manifestata dal tutore.

La lacuna legislativa che contraddistingue il nostro Paese accomuna tutta l’Unione europea?
No. Per fare solo degli esempi, sia la Francia sia la Spagna hanno emanato, già nel 2002, delle leggi che sanciscono sia il principio del consenso informato del paziente, ovvero il relativo diritto al rifiuto delle cure, sia la possibilità di redazione di un testamento biologico.
In Italia, d’altro canto, abbiamo assistito ad un coraggioso lavorio giurisprudenziale, che ha fatto le veci di un Parlamento inerte. In fin dei conti, già l’art. 32 della nostra Carta costituzionale costituisce una base di partenza più che sufficiente: se nessuno può essere costretto ad un trattamento sanitario, infatti, il resto viene da sé.

Ma qual è la differenza tra il rifiuto alle cure che conduca alla morte e un atto eutanasico?
Con il rifiuto alle cure il paziente esercita un diritto costituzionalmente tutelato: non persegue la morte, bensì lascia che la malattia faccia il suo corso. In questo caso il medico semplicemente omette di applicare le cure ovvero interrompe i trattamenti, laddove già azionati. Per contro, l’eutanasia è un atto causalmente e positivamente volto a provocare il decesso del paziente: l’esempio normalmente riportato è quello dell’iniezione letale.

C’è però chi considera “eutanasia” la stessa somministrazione di sedativi al paziente terminale…
Perché in Italia la filosofia delle cure palliative non è ancora sufficientemente radicata. È vero: laddove nessun trattamento sanitario sia più efficace, la sedazione può talvolta abbreviare l’agonia del malato terminale (quale “effetto collaterale” del perseguimento di una morte indolore), ma non si tratta comunque mai di atti eziologicamente volti alla morte.

Riguardo a questi temi, esiste in Italia la possibilità, per il personale sanitario, di fare obiezione di coscienza?
Tale possibilità dev’essere prevista per legge, quale eccezione al principio generale della doverosa prestazione delle cure. Nel nostro Paese l’unico caso regolamentato è quello in materia di interruzione volontaria della gravidanza. Anche in quest’ipotesi, però, il servizio pubblico deve comunque garantire alla paziente la concreta possibilità di esercitare l’IVG.

La ringrazio per la Sua disponibilità e per chiudere l’intervista Le chiederei un parere a caldo in merito al disegno di legge sul quale proprio in questi giorni sta lavorando il Parlamento.
Staremo a vedere. Il balletto degli emendamenti è ancora aperto. Certo si potrà discutere della costituzionalità di una legge che vieti al paziente (anche al paziente cosciente) di rifiutare l’alimentazione e l’idratazione artificiali. Per il momento, si tratta di un disegno di legge per nulla innovatore, mosso dall’unica preoccupazione che non sia consentito di morire ad un’altra Eluana Englaro. Inoltre, vedo una certa confusione in merito all’accanimento terapeutico e al comportamento del medico in materia.
D’altra parte, si consideri come la giurisprudenza avesse già compiuto passi da gigante in materia di testamento biologico con l’utilizzo della figura dell’amministratore di sostegno, laddove è già stato concesso al malato di nominare un proprio fiduciario, ovvero un soggetto che ha il compito di consentire o meno a determinati trattamenti sanitari quando il paziente non è più in grado di farlo.

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