domenica 18 dicembre 2011

Cosa dev'essere un giornale

Su proposta del Circolo del Franciacorta-Sebino, e seguendo il loro esempio, i Giovani Democratici bresciani si stanno, in questi ultimi mesi, dotando anch'essi di un proprio giornale.
Dico volutamente giornale, anziché giornalino, perché penso che già dal nome un progetto di questa ampiezza meriti rispetto e considerazione fin dal proprio nome.
Scrivere, e pubblicare, un giornale non è un qualcosa che si può fare a cuor leggero, esso richiederà l'impegno da parte di tutti, perché esso è il primo mezzo con cui si fa informazione e politica. La politica è informazione e l'informazione è politica. L'obbiettivo che i Gd bresciani devono porsi attraverso il loro foglio non è solo fare propaganda, ma raccontare i fatti e contestualmente portare la propria analisi e la propria visione di essi e conseguentemente imporre - a livello culturale - queste riflessioni non solo ai propri coetanei ma anche e soprattutto al Partito Democratico. La creazione e la pubblicazione - con vari formati - viene ad assolvere quel ruolo di pungolo che i giovani hanno nei confronti dei grandi.

Qualcuno adesso potrebbe ribattermi che nell'era di internet e delle televisioni i giornali sono superati. Un giornale non è solamente la carta con cui viene stampato, sono i temi che vengono trattati, i toni con cui vengono trattati. Il giornale è l'opposto della superficialità della comunicazione moderna (come dice anche Reichlin).
Non è un caso che sempre più gente, anche nell'era di internet, vada alla ricerca di giornali online sui quali informarsi e costruire una propria idea.Con internet siamo tornati alla ricerca dell'informazione di qualità. Paradossalmente dopo 20 anni di comunicazione visiva siamo tornati alla comunicazione scritta, seppur su altri supporti.
Internet quindi non è l'avversario del giornale, anzi al contrario gli da nuova vita e apre nuovi spazi anche a coloro che, come i Giovani Democratici bresciani, non possiedono i mezzi tecnici e finanziari dei grandi gruppi editoriali.
Per descrivere il mio concetto di giornale, meglio di ogni mia parola possono le parole di Alfredo Reichlin che per commentare la messa online di tutto l'archivio storico dell'Unità scrive un editoriale spiegando cosa fosse L'Unità e più in generale cosa dovrebbe essere, o aspirare ad essere, un qualunque giornale che punti ad essere tale.

Prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo ci tengo a dare un solo consiglio: colui che si accinge a leggere le parole di Reichlin dovrebbe spogliarsi dalle proprie possibili pregiudiziali nei confronti di un giornale e di un'esperienza politica. Le parole di Reichlin vanno analizzare aldilà del discorso incentrato su L'Unità e portare su un piano più alto

----------

Il Corriere degli operai 

di Alfredo Reichlin da L'Unità del 2 Ottobre 2011


Mi chiedono di commentare questa impresa davvero notevole: la messa a disposizione di tutta quell’immensa mole di fatti, idee, scritti, narrazioni e commenti che rappresentano la collezione dell’Unità.

L’Unità è stata gran parte della mia vita. Ne divenni direttore a trent’anni, alla vigilia del famoso 1956 (il rapporto segreto e il crollo del mito sovietico). Ero entrato nella sua redazione poco dopo la Liberazione di Roma e avevo fatto tutti i mestieri, dalla cronaca nera ai resoconti parlamentari. Dopo sei anni e in conseguenza di un serio dissenso politico sul rapporto tra il Pci e il centro-sinistra passai a fare altro. E poi, in un’altra stagione politica (1976, Berlinguer, il compromesso storico), fui chiamato nuovamente a dirigerla. Per altri sei anni. Una vita. Vorrei evitare nostalgie e commemorazioni. Sono sempre più assillato dalla consapevolezza di questa vera e propria mutazione del mondo. So anch’io che il mondo è sempre cambiato. Ma adesso si tratta della fine della sua occidentalizzazione. Sei secoli. Si tratta dell’Europa, il luogo dove si è inventato tutto e il contrario di tutto; lo Stato e la rivoluzione, la libertà e il fascismo, la democrazia, la destra e la sinistra. È l’avvento non solo di nuove potenze ma di una nuova identità. Quindi di un diverso pensare se stessi, quindi la realtà.

Ho dei nipoti, giovani, adolescenti. Sono sicuro che mi tengono in buona considerazione. Ma, se vogliamo dire la verità, io mi accorgo che essi, al fondo, non sono molto interessati alla mia storia. Certo non sono indifferenti ma ciò che io leggo in loro è il travaglio e perfino la sofferenza di una nuova generazione che è alla ricerca di nuovi significati e che pone – senza riuscire nemmeno a formularle - nuove domande sul futuro. In sostanza domande di valori ai quali il narcisismo e il politicismo del ceto politico non è in grado di rispondere.

Stiamo attenti: anche questo alimenta l’antipolitica. E la sinistra non è innocente. Dunque, questo è il mio commento alla nuova lettura che si può fare dell’Unità. C’è nella storia di questo giornale qualcosa che risponda alle domande dei miei nipoti? Lasciamo stare le apologie. Ho vissuto la vita quotidiana di questo giornale e so quanto siamo stati anche faziosi e settari. Conosco la fretta con cui si lavorava e quindi gli errori e le sciatteria. Ma l’Unità non fu soltanto l’organo di un partito e che partito: il partito comunista. Fu una grande invenzione. È esattamente per questo che essa incise sulla storia dell’Italia repubblicana. Perché fu una cosa molto pensata di cui non esisteva il paragone. Non solo in Italia. Fu una costruzione complessa, ispirata fondamentalmente da Palmiro Togliatti e molto discussa in un gruppo di giovani e di intellettuali di cui anch’io ho fatto parte. L’idea di Togliatti era molto chiara: il nostro modello, diceva, non è il vecchio Avanti delle vignette anticapitalistiche di Scalarini, né tanto meno la Pravda ma il Corriere della Sera. Vogliamo fare della classe operaia la nuova classe dirigente? Allora dobbiamo dare ad essa un grande giornale capace di battersi con i giornali della borghesia sul terreno della informazione sui fatti reali del mondo, che dica la sua su tutta la vita sociale, compreso lo sport e lo spettacolo. Questa fu la nostra missione. Non fu solo quella di trasmettere le direttive del partito ma di dare battaglia sul terreno dell’egemonia (egemonia intesa in senso gramsciano ndr). E fare ciò cominciando dalla capacità di competere con gli altri nel definire l’agenda politica e ideale del Paese. E così uscire dalla subalternità. Qualcosa di più profondo dell’essere lo strumento al servizio del popolo per farsi giustizia (mi minacci? io lo racconto all’Unità). E tutto questo non a parole ma facendo un giornale che era un giornale, un giornale, e un giornale. Un grande giornale che la domenica vendeva un milione di copie.

La domanda è: chi detta oggi l’agenda del Paese? Certo non noi, ridotti come siamo quasi al silenzio. A me pare che qui sta l’attualità del racconto che voi mi costringete a fare ai miei nipoti. I quali vivono in un Paese dove gran parte del ceto politico (non tutto per fortuna) ha ceduto il comando non solo all’oligarchia finanziaria ma al giornalismo più straccione che lusinga il suo narcisismo invitandolo a schiamazzare nei talk show televisivi e accettando perfino che la trasmissione venga aperta da un comico che li sbeffeggia (tra le risate di tutti). A questo ci siamo ridotti? Certo, la sinistra non possiede più l’alto linguaggio etico-politico, di condanna civile del cardinal Bagnasco. La sinistra – come sappiamo e tutti diciamo - deve rinnovarsi in tante cose. Secondo me, tra queste, c’è una nuova riflessione che deve fare sull’importanza dei giornali. Perché i dirigenti non scrivono gli editoriali? Come pensano di far camminare le idee se ne hanno? Idee non le solite battute di una intervista televisiva. È vero, è in tv che si forma quella cosa fondamentale che sono i costumi i modelli di pensare. Ma a monte ci sono pur sempre le idee, le grandi decisioni. Dopotutto la cultura dominante è quella della classe dominante, ed è a essa che il sistema dei media si adegua. Concludo. Alla fin fine che cosa chiedono i miei nipoti se non ridare senso e significato alle loro esistenze, se non il bisogno di tornare ad essere padroni delle proprie vite? È ciò che cercano. Sappiano allora che questo fu il grande messaggio dell’Unità. Non fummo un grande giornale popolare e di massa perché raccontavamo balle o pubblicavamo storie di puttanieri. Ma nemmeno lo fummo solo perché denunciavamo le ingiustizie. Lo fummo perché ci costituimmo come strumento di una costruzione democratica, cioè del protagonismo (per una volta tanto nella storia italiana) delle masse.
Spero si capisca l’orgoglio e la piena dei sentimenti di chi faceva quel giornale e vedeva l’operaio del cantiere di Taranto (l’ho conosciuto) che rischiava il licenziamento perché si ostinava a varcare i cancelli della fabbrica, all’alba con in tasca l’Unità. C’è una grande discussione sulla “casta” e sul modo di fare politica. Non mi piace. Io ricordo che quasi ogni sera un uomo come Palmiro Togliatti prima di andare a casa passava dalla redazione in via IV novembre. Parlava con noi e si faceva portare una birra prima di mettersi a scrivere un commento con l’inchiostro verde. Vedi, mi diceva, sta attento al linguaggio: quello della politica deve parlare ai cuori e alle menti e non imitare il linguaggio povero e rissoso dei giornali. Leggi Stendhal. Purtroppo ho perso i bigliettini che mi mandava ogni giorno per commentare un film o la cronaca del Giro d’Italia. Arrivavano a sera anche gli intellettuali che scrivevano la “terza pagina” e ponevano al povero Ingrao problemi impossibili. Pietro commentava in prima pagina il passaggio dal neo-realismo alla commedia all’italiana. Si lavorava come matti e l’ultimo camioncino portava a casa il direttore verso le due.

1 commento:

  1. Best Casino Apps in MI 2021 - MapyRO
    The top 김제 출장샵 casino apps 진주 출장샵 of the online gambling 영주 출장안마 market have been developed by The Interactive Entertainment Group. 강릉 출장안마 All in all, the most 사천 출장샵 exciting,

    RispondiElimina