martedì 1 marzo 2011

Discorso degli Studenti per l'inaugurazione dell'Anno Accademico all'Università di Brescia

Buonasera a tutti.
Ringrazio il Magnifico Rettore prof. Sergio Pecorelli per la parola concessami.
Illustri ospiti, autorità, signori Professori e ricercatori, signori del personale tecnico amministrativo e colleghi studenti.
Proprio quest'anno celebriamo il 150esimo anniversario del nostro paese, eppure proprio in concomitanza di una ricorrenza cosi importante, l'università, istituzione che per prima ha dato avvio alla cultura italiana e al sentire comune di un popolo diviso, si trova in una situazione di grave crisi strutturale e morale.
Crisi strutturale perché oggi i nostri Atenei si trovano di fronte alla grande sfida di rivedere completamente la loro struttura interna, che, nella schizofrenia anglosassone che ha colpito molti, chiamiamo oggi governance. Passiamo cosi da una visione di accademia intesa come unione di studenti e professori nella ricerca del sapere, ad una visione aziendalistica dove il profitto viene ben prima della trasmissione di quelle conoscenze che rendono il cittadino consapevole del proprio ruolo sociale.


Ma è, al contempo, anche una crisi morale. E non mi riferisco solamente allo scandaloso dilagare del nepotismo, ma anche alle varie scorciatoie che molti, in primis noi studenti, siamo disposti a prendere pur di migliorare e semplificare la nostra vita accademica. Sintomi questi che testimoniano quanto malata sia nello spirito la comunità accademica, che rischia di perdere quel ruolo egemonico che l'ha contraddistinta fin dalla sua nascita, proprio in territorio italiano ormai mille anni fa.
E non era certo questo che i padri fondatori immaginavano per l'università nei giorni in cui l'unità d'Italia veniva portata a termine.
Già nel pensiero di Carlo Cattaneo l'università è vicina al territorio, ne ricalca ed esalta le peculiarità. Si crea cosi un rapporto di simbiosi che crea innovazione tecnologica e culturale arricchendo al contempo il territorio e l'istituzione universitaria. Un arricchimento che per Cattaneo non dev'essere tenuto ciecamente riservato, ma condiviso con il resto della comunitas, in un'ottica di confronto sovranazionale ed europeo.
Perché è proprio grazie al progresso collettivo e non individuale che la società, che l'università rappresenta, può superare i propri limiti e diventare più giusta.
Non è, però, creando una forte centralizzazione nelle scelte, con altrettanto aumento della burocrazia, come avviene con l'ultima riforma dell'università, che si incentiva questo forte legame. Ogni singolo Ateneo dev'essere libero di trovare le forme più adatte per attuare questa joint venture tra sistema del sapere e sistema produttivo.
Ma tutto ciò dev'essere però compiuto nel rispetto delle singole sfere di competenza: quindi, che le aziende producano profitto e che l'università produca sapere.
Il rischio di una deleteria commistione tra i due fini è alto, soprattutto in un periodo -come questo-  di grave crisi economica e di tagli al fondo di finanziamento ordinario dell'università di oltre il 10%.
Tagli che, nella maggior parte dei casi, vengono giustificati con un presunto deficit della ricerca italiana. Eppure diverse indagini internazionali testimoniano come la ricerca nostrana sia fortemente sottofinanziata rispetto ai nostri diretti competitors, classificandosi addirittura al 30esimo posto. Per contro i risultati conseguiti appaiono di tutto rispetto, sia in termini assoluti, dove la ricerca italiana si posiziona all'ottavo posto, sia con eccellenze in diversi campi specifici. Tale politica costringerà le università, se non a chiudere, a far sempre più affidamento su fondi privati e su investimenti di aziende. Di conseguenza l'università dovrà mettere da parte la ricerca di base per concentrarsi su ricerche che possano produrre profitto nel più breve tempo possibile, anche tramite lo sfruttamento e lo svilimento delle conoscenze dei nostri ricercatori e dei nostri studenti, senza un vero ritorno culturale per il sistema universitario italiano.
La sete di arricchimento culturale non può certo trovare requie grazie all'ingresso di privati nei Consigli di Amministrazione degli Atenei pubblici, bensì grazie ad un più profondo confronto con il panorama europeo.
Infatti, è impellente esigenza dell'università italiana incentivare ed incrementare le esperienze di studio all'estero, tramite periodi più o meno lunghi di soggiorno e doppi titoli che permettano ai nostri studenti di veder riconosciuta la propria professionalità oltre i confini nazionali.
Ed altresì esigenza del nostro sistema attirare sempre più studenti stranieri, per rendere più europeo un territorio troppo poco interessato dal confronto culturale. Ma ciò è possibile esclusivamente attraverso l'offerta di corsi di laurea in linea con il resto d'Europa, tenuti in lingua inglese e con la partecipazione di visiting profèssors.
Tali obbiettivi sono però realizzabili esclusivamente mediante un più serio studio della lingua inglese nell'ambito della scuola dell'obbligo, affidando cosi, all'istruzione universitaria studenti già formati nella loro conoscenza di una seconda lingua, che consenta un confronto diretto con il piano sovranazionale.
Non si dimentichi, poi, il valore dell'università come ascensore sociale. Essa permette, o dovrebbe permettere, a coloro che sono capaci e meritevoli di raggiungere i più alti livelli di istruzione, indipendentemente dalla propria condizione sociale.
Ma tale riscatto sociale è possibile solo attraverso un supporto, si badi bene non caritatevole, ma dovuto, da parte dello Stato nei confronti degli studenti meno abbienti ma meritevoli di proseguire negli studi.
Eppure molto si dibatte di meritocrazia: è corretto valutare in egual modo lo studente che lavora per mantenersi agli studi e colui che altra preoccupazione non ha se non quella di studiare?
Il merito può, e dev'essere valutato, ma ciò solo dopo aver messo tutti gli studenti sullo stesso piano di partenza cosi da valutare in modo oggettivo le capacità dei singoli.
Tale obbiettivo è raggiungibile in un solo modo: tramite l'assegnazione di borse di studio ai meno benestanti.
A livello nazionale il 35% degli studenti idonei non si vede assegnare una borsa di studio, con situazioni drammatiche nel sud Italia: ennesima dimostrazione di una doppia velocità che divide il paese e che nessuno, intende, in questo 150esimo anniversario del nostro paese, risolvere .
E' una situazione endemica, e tragica se paragonata a quella di altri sistemi europei. Basti pensare che in Francia e in Germania oltre mezzo milione di studenti, pari a circa il 25% della popolazione studentesca, usufruisce di una borsa di studio. In Italia, al contrario, sono appena 150mila gli studenti che beneficiano di questo supporto – l'8% della popolazione studentesca.
Ma ancora una volta il Governo italiano non si fa scrupoli, e in una situazione già disastrosa di per sé, taglia ulteriormente i fondi al diritto allo studio. Tale scelta rende problematica persino la  realtà bresciana, che fino all'anno scorso ha sempre saputo assicurare a tutti gli idonei una borsa di studio. Da quest'anno non sarà più cosi.
I prestiti d'onore sono la soluzione?
E' noto come questa forma di supporto preveda la restituzione del denaro ricevuto da parte dello studente una volta entrato nel mondo del lavoro. Mondo del lavoro che, ricordiamo, diventa però sempre più precario, rendendo tale debito ancor più gravoso per il giovane neo lavoratore e ovviamente ritardandone l'affrancamento dalla famiglia d'origine.
E' evidente come l'università italiana versi in una situazione critica, eppure, per incapacità o volontà politica nessuno fino ad oggi ha mai attuato alcun cambiamento radicale, limitandosi ad attuare delle semplici riforme, di cui l'ultima è un esempio, seguendo il concetto di gattopardiana memoria del “tutto cambi affinché nulla cambi”.
Eppure l'università di Brescia ha le potenzialità per guidare un serio cambiamento. Ma in questo cambiamento deve necessariamente essere accompagnata dalla città e dalla cittadinanza. Quindi ben venga il progetto di un Campus Universitario nel centro storico, ma che questo non rimanga chiuso in se stesso. Che l'università si apra alla città e che la città si apra all'università.
Per lo stesso motivo, bisogna dare la possibilità agli studenti di poter vivere la propria città. E' quindi controproducente far chiudere i locali di aggregazione della zona universitaria di San Faustino entro le 10 di sera, adducendo pretestuose questioni di ordine pubblico.
Come studenti universitari chiediamo una città a misura di giovani. Solo cosi, potremo finalmente creare una città universitaria in grado di competere con centri di più antica tradizione come Pavia e Milano, facendo di Brescia una prima scelta sul piano regionale.
Vorrei concludere questo mio intervento, portando la nostra vicinanza e solidarietà a tutti i compagni universitari che in tutto il mondo, e in particolare in questo momento nell'area nord-africana e mediorientale, si battono contro i regimi dittatoriali per una società più giusta e democratica, con l'augurio, che come noi oggi ricordiamo il 65esimo anno della democrazia, anch'essi possano al più presto festeggiare l'inizio della democrazia nel loro paese.
Vi ringrazio per l'attenzione

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